Milano come laboratorio politico

Incredibile ma vero, qualcosa si muove nel centrodestra. A Milano, intendiamoci, visto che l’ombra della confusione in quell’ambito politico si sparge - contaminante - da Roma in forme e in forze degne di un quadro surrealista. La contaminazione è anche imitazione, ed è forse perché la città di Sant’Ambrogio rifugge dalla sindrome imitativa, che qui l’immobilismo di un’area una volta dominante ed ora declinante sembra subire una salutare scossa.

Forse è ancora presto, ma sta di fatto che dopo la candidatura di Stefano Parisi si è invertito non soltanto il segno dei sondaggi rispetto allo strafavorito Beppe Sala, ma soprattutto la direzione di marcia di un’alleanza che sembrava soccombente fino a un paio di mesi fa. La candidatura di Parisi a sindaco è stata inopinatamente favorita dal silenziatore sulle pulsioni più virulente salviniane, ed il vero motore ne è lo stesso futuribile sindaco. Infatti, rendendo possibile ciò che a Roma è invece nel grembo di Giove, questo motore ha un senso di marcia squisitamente politico ben al di là della conformazione umana parisiana, di chiaro stampo manageriale. E ciò dicasi a proposito delle condizioni disastrate del centrodestra ambrosiano nel quale il vero motore doveva essere quello di Forza Italia, ben presto apparso picchiare in testa e ai limiti della rottamazione, sicché tutto appariva perduto, compreso l’onore.

Se ora invece la ruota ha ripreso a girare nel senso giusto è grazie appunto alla scelta caduta sulla new entry, sul top manager che si sta rivelando un protagonista capace di declinare programmi e progetti milanesi non solo o non tanto secondo l’algoritmo tecnicistico ma, anche e soprattutto, secondo la scala della politica. E siccome i sondaggi gli sono favorevoli, non è perché si nota un apporto decisivo dall’ex motore berlusconiano, ma per l’esatto contrario, ovvero per il determinante contributo della new entry alla quasi spenta Casa delle Libertà. È lui, è Parisi che spinge all’insù i consensi di una Forza Italia che sembra, oggi, staccata di soli due punti dall’esuberante Lega. Certo, il cammino è appena all’inizio, ma è un buon inizio. Anche guardando al recente “acquisto” (grazie ai buoni uffici di Gabriele Albertini) di Corrado Passera, la cui decisione di votare per Parisi ne allarga indubbiamente la piattaforma dei consensi, benché, e non è poco, i pasticci sull’assenza del nome del sindaco in lista complichi la stessa necessità della presenza di Passera, che non può limitarsi a semplici esternazioni di voto: ci vuol ben altro. Né si deve procedere a sommatorie, tipo i sondaggi del lunedì su La7 dove il centrodestra appare, sia pure virtualmente, un monolite, soprattutto per l’assenza di un altro nome, quello di Berlusconi, messo fuori gioco dal cupio dissolvi della sinistra ai tempi di Letta.

Ah, la Severino, quanti guasti si porta dietro; ultimo l’impalpabile seppur cruento reato di “traffico di influenze”, che piace tanto ai forcaioli (peraltro ben distribuiti negli opposti campi) decisi a dare il classico colpo di grazia. Che per la destra è un autentico harakiri. Il fatto è che soltanto rivolgendosi alla grammatica della politica è possibile sfuggire ai richiami della forca, favorendo invece una rinascita della Civitas, il che valga soprattutto in riferimento ad alcune “sparate” del centrodestra che appare sinistramente in gara con certe toghe e certa sinistra nel dare la cosiddetta spallata a Renzi, costi quel che costi, compresa la linea politica di una moderna forza conservatrice che mai e poi mai potrebbe dire sì al referendum sulle trivellazioni, come hanno invece annunciato la Meloni e Salvini, o cavalcare qualsiasi ondata giustizialista-intercettativa con ciò negando i suoi princìpi fondanti.

Ecco perché la crescita del modello Parisi in quella sorta di laboratorio che è sempre stata Milano potrebbe e dovrebbe uscire dalla cinta daziaria meneghina, ampliarsi nel Paese, in virtù del privilegio della politica sulle punte demagogiche, nella messa in sordina dell’acceso populismo non solo leghista, con l’uso di una sintassi quotidiana in funzione di un accreditamento che è e non può che essere politico. Non a caso, da Parisi in poi, sono cominciati i nervosismi e gli errori di Giuseppe Sala e dei suoi - più o meno - alleati. Si pensi all’errore madornale nei confronti del posto in testa di lista dapprima concesso e poi negato a Massimo Ferlini, tacciato di presiedere la “famigerata” Compagnia delle Opere da parte di ben noti settori della cosiddetta gauche caviar milanese che ad ogni elezione s’impanca a distributrice moralistica di patenti. E citiamo la recentissima gaffe, sia pure a livello di comunicazione, dello staff di Sala che, appresa la notizia del passaggio armi e bagagli di Passera, ha lasciato filtrare l’ipotesi di una “lista di destra” che affianchi quella ufficiale di sinistra. Peggio “el tacón del buso”. Ah, la politica, questa sconosciuta…

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:28