Da Milano a Roma: guardiani della morale

Questi guardiani moralisti (non morali, dunque) non cessano mai di stupirci. Non soltanto perché la morale è tutta un’altra cosa, ma perché la strumentalizzazione di vicende “etiche” si traduce nello squallore del politicamente corretto, la vera sciagura del nostro tempo. Perché, vedete, l’utilizzo del randello “etico” in politica è propedeutico alla tipologia del manganello del tempo che fu, lasciando ben altro che bernoccoli sul malcapitato. Anche perché le manganellate politiche sono precedute ed accompagnate dal manzoniano “dalli all’untore”, simbolo della recrudescenza del male più male di tutti: la peste politica. A Milano, per dire, i detti e i contraddetti riferiti alla candidatura di Massimo Ferlini, dopo la sua adesione alla lista di Beppe Sala, confermano proprio l’assunto della morale (quella vera) del sublime romanzo di Don Lisander nella misura con la quale il paragone fra il Seicento milanese sconvolto dalla pestilenza con i nostri tempi, rivoltati come un calzino da venti e più anni, costituiscono un’interpretazione storicamente binaria e politicamente illuminante.

Ferlini aveva avuto un passato di comunista “migliorista” e ottimo assessore, poi intrappolato da “Mani Pulite” ma con successiva piena riabilitazione, quindi con l’adesione convinta a Comunione e Liberazione (Cl), in particolare la Compagnia delle Opere cui ha offerto le sue migliori capacità manageriali. Un’adesione, la sua, che serviva indubbiamente al Partito Democratico per intercettare un consenso da un mondo moderato che è poi il grande bacino di voti di una Milano a sua volta riformista, liberale, laica, tollerante: moderata. Un’operazione politica utile, dunque, a Sala. Al supermanager di successo dell’Expo, indicatovi dalla Moratti e insediatovi da Renzi. Sala è percepito dalla gauche milanese come un renziano doc: “Achtung, Beppe!”. C’è una vecchia battuta qui da noi - “più stanno a sinistra, più abitano in centro” - che aggiunge una cromatura speciale al complesso affresco elettorale ambrosiano nel quale la candidatura ferliniana, fin dall’inizio, è stata accolta, invece che dagli applausi, dai prevedibili “buuu!” di una platea teatrale radical chic, e dalla rivolta, non meno prevedibile, di non pochi esponenti a sinistra del Pd e, beninteso, dallo stesso sindaco Giuliano Pisapia: mai e poi mai uno di Cl nelle nostre liste, figuriamoci poi uno che è al top della “famigerata” Compagnia delle Opere! Dalli al Ferlini! Dalli all’untore! Dio scampi e liberi dalla peste che ammorba e corrompe la (nostra) buona politica!

Alla fine, tuttavia, è stato raggiunto un accordo nella lista con tanto di simbolo Pd - dove lo stesso nome di Sala vi è iscritto forse per stringere a corte i tentennanti di partito - con la garanzia di un posto in testa di lista per Ferlini. Il coro greco dei duri e puri - come gigli immacolati - di sinistra, ha comunque continuato a salmodiare contro il satana che insidia il loro corpo immacolato, impancandosi ad aggiornati Saint Just e Robespierre, inflessibili guardiani della morale, sorta di corpi speciali di disinfestazione dalla peste politica che contamina l’habitat meneghino. Per farla breve, e forse anche per le fievolissime difese di Sala nei riguardi di Ferlini, la testa di lista viene negata a Ferlini, donde la di lui decisione di togliersene definitivamente, sia pure confermando il suo voto. E qui, per il cinicone di turno soccorrerebbe l’immortale Molière del “vous l’avez voulu, George Dandin!” che in politichese sta per “l’hai voluta la bicicletta, adesso pedala”.

Ma non è questo il punto. Che è, invece, l’immarcescibile e intramontabile cattivo genio gauchista nel proclamare la loro diversità, non soltanto politica, etica e morale ma, addirittura, antropologica come diceva spesso Gramsci, sillabando il termine affinché entrasse, già dai tempi dell’“Ordine Nuovo”, nei crani dei militanti comunisti. E poco importa che il crollo del comunismo renda umoristica e ridicola l’auto-investitura della diversità antropologica, la cui contiguità al razzismo (politico) è affatto evidente. Di questa stoffa sono fatti i guardiani della morale, cioè del politicamente corretto. I quali agiscono sull’asse Milano-Roma, dal Comune ambrosiano alla Rai, al Servizio pubblico radiotelevisivo: a “Porta a Porta”, a Bruno Vespa. Quanto ne ha argomentato il nostro direttore che su “Il Giornale” dell’altro ieri spiega molto bene il senso dell’operato di questi speciali guardiani. Maestri insuperati del politicamente corretto. Nulla aggiungiamo, se non che la loro azione nel tempo, specialmente nell’ambito comunicativo, è la più stupefacente storytelling della morale a senso unico, il loro, che la spaccia come oppio ai creduloni del politically correct.

Per cui, fulmini di sdegno contro Bruno Vespa e al suo “negazionismo” per l’invito in studio del figlio del xapo dei capi della Mafia. Attenzione: negazionismo, termine mutuato da un unicum, dall’orrore nazista dell’Olocausto. E così Vespa è sistemato. Mentre chi portava in Rai settimana dopo settimana Ciancimino junior, manco fosse un eroe, resta un modello di giornalismo insuperabile, un addetto all’informazione pubblica degno di una medaglia. Anche allora funzionava il dalli all’untore, il più untore di tutti. Il Cav. O no?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59