Processi? Imparate dalla Palombelli

E va bene, siamo sempre fra il serio e il faceto. Ma, scusate se è poco (Totò permettendo), se le inchieste e le indagini hanno scadenza olimpionica e i processi non finiscono mai, a che santo dobbiamo rivolgerci? E se le olimpioniche indagini di certi pubblici ministeri influiscono sulla vita politica fin dai loro preliminari, come osserva lucidamente il Pm Carlo Nordio, quale rimedio opporvi? E se, infine, come ha detto lapidariamente il Cavaliere all’inizio dell’affaire Guidi-Boschi, le “intercettazioni sono un grave vulnus della democrazia”, che fare, che si farà e, soprattutto, che è stato fatto, a tal proposito da parte di chi poteva e doveva agire, cioè la politica, dal Cavaliere a Renzi?

Il primo pensiero che ci frulla in capo, decidete voi se più serio o più faceto, è di rivolgersi né più né meno che a Barbara Palombelli e al suo “Forum” quotidiano su Rete 4. Attenzione: un “forum”, cioè un processo che, ancorché virtuale, dovrebbe costituire il modello tipo, il punto di approdo e di confronto dei processi cosiddetti veri. Dovrebbe esserlo, per meglio ri-dire. Questa parificazione fra il sacro (aule di tribunale) e il profano (set televisivo) in una similitudine che sembra sacrilega ai moralisti un tanto al chilo, vorrebbe cogliere un dato di fondo nell’attuale bailamme giustizialista, laddove i processi in tribunale “che non arrivano mai a sentenza”, secondo il vangelo di Matteo, non sono meno virtuali dell’irraggiungibile modello Palombelli, ma diventano vere e proprie armi di distruzione effettiva, almeno per i politici nel mirino.

Siamo, insomma, nella dimensione, e nel solco, dell’immortale “circo mediatico giudiziario” in funzione da oltre 25 anni, così ben narrato dal nostro Diaconale fin da allora. Ma con un surplus di umiliazione della politica: di non aver potuto o voluto porre un rimedio ad un simile andazzo col rischio di vedere sistematicamente calpestata la sua insostituibile funzione, non soltanto per l’intrusione della giustizia nell’ambito politico, ma soprattutto per la non meno sistematica debolezza dei politici di governo di riformare proprio quella giustizia, della quale si lamentano specialmente quando vengono da essa punti sul vivo, o, come si dice a Milano, presi in mezzo, finiti in trappola. Ma diciamocelo almeno inter nos, questa trappola non è nata e cresciuta per partenogenesi e non è neppure un obiettivo della stragrande maggioranza della magistratura - per quanto la decisione pubblica di Magistratura Democratica di votare “No” al referendum istituzionale d’autunno voluto da Renzi la dica lunga su un certo tipo di giustizia intesa e, di già che c’è, e tentata di applicarla come un vero e proprio contropotere “politico”. La trappola è stata costruita quasi sempre dalle mani, più che dalle teste, dei politici; pensiamo a certi “passaggi” della recente Severino come il fantasmatico “traffico di influenze” e, più terra terra, all’uso sfrenato, se non puntuale come un orologio svizzero, delle intercettazioni che marchiano a fuoco sia politici nel mirino, indagati o informati, sia i casuali malcapitati nelle intercettazioni dell’orwelliano e infaticabile Grande Fratello. Solo Silvio Berlusconi, già da subito, dell’affaire Guidi-Boschi ha denunciato la gravità della pubblicazione delle intercettazioni. Eppure, non ci vuole molto a normare questo sistema, peraltro indispensabile per molte inchieste. Non è necessario un Pico della Mirandola per porre una limitazione non all’essenza del meccanismo, ma alle sue modalità di pubblicizzazione, onde evitare sia i pregiudizi vulneranti soprattutto uomini e donne pubblici, sia le macchine del fango che ne derivano e che macchiano a 360 gradi, molto prima di un processo, di una sentenza, fin dalla fase preliminare, come ricorda onestamente Nordio al quale l’attesa di una riforma della giustizia appare ormai simile, in Italia, all’en attendant Godot.

La reazione di Matteo Renzi è stata improntata sia al metodo della risposta colpo su colpo di colui che si difende attaccando, sia alla tecnica della controffensiva mediatica tramite media, soprattutto in televisione, con accuse alla stessa magistratura, rea tanto di lentezza nei processi-sentenze quanto di celerità nelle inchieste, magari alla vigilia di appuntamenti referendari contigui all’oggetto dell’indagine stessa. Stava quasi per pronunciare la fatidica frase sulla giustizia ad orologeria, ma si è fermato, proclamandosi diverso, onesto, bravo, corretto e responsabile diretto dell’emendamento fatale. Nella sostanza, tuttavia, la sua, benché lo neghi, è una dichiarazione di guerra alla magistratura che colpendo la Boschi vuole arrivare a lui che, invece, vuole sbloccare il Paese. In realtà il Premier si trova in mezzo al guado, nel senso che adesso gli è arduo tornare indietro. Perciò qualcuno ha chiosato in soldoni: vuole bloccare la magistratura e, al tempo stesso, sbloccare il Paese. Vaste programme, direbbe Charles de Gaulle. O, come aggiunge ironicamente un amico che la sa lunga: Renzi è impazzito, chiamate un’ambulanza! In ogni caso, auguri sinceri. Magari consolandosi con una puntata del magico “Forum”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00