Moschea a Milano: ci vorrebbe un patto

Come diceva quel tale: nella vita, il guaio è che tutti hanno le loro buone ragioni. E dicasi anche della questione “Moschea” a Milano. Su cui era talmente prevedibile - e comprensibile - il no secco e spietato di Matteo Salvini da rendere addirittura ovvia nella sua affermatività la risposta di Stefano Parisi. Dunque: prevedibili e comprensibili le dichiarazioni opposte dei due, peraltro alleati per la (ri)conquista del Comune. Il che, tra l’altro, la dice lunga sulle stesse prese di posizioni tranchant salviniane: mai una Moschea con la Lega a Milano e mai insieme con chi sta al Governo con Renzi, ovverosia con Maurizio Lupi, alleato di Parisi a sua volta alleato di Lupi per la mitica “reconquista” di Palazzo Marino.

Di contraddizioni è piena la politica, e va bene. Ma il cuore della vexata quaestio milanese non sta tanto negli atteggiamenti odierni di Lega, Nuovo Centrodestra, Federazione dei Liberali, Forza Italia, Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà e chi più ne ha più ne metta; quanto, piuttosto, nell’impressionante e colpevole distrazione con cui le giunte comunali - di tutti i colori da quasi 25 anni - hanno affrontato il tema del diritto al culto per ogni religione, in primis quella dell’Islam, sancito solennemente dalla Costituzione.

Ci si chiede come mai non sia stato in grado nessun sindaco, da Formentini in poi, di porsi e porre alla città questo problema, e ciò soprattutto di fronte all’esplosione del numero di moschee e centri musulmani vari spuntati come funghi in garage, seminterrati, ripostigli ed ex capannoni industriali con controlli quasi impossibili. Certo, la Lega è sempre stata contraria al progetto di qualsiasi Moschea, a parte il fatto che è stato proprio il governatore leghista Roberto Maroni a promuovere una legge ad hoc, sia pure restrittiva e sia pure respinta in due o tre punti dalla Suprema Corte, ma comunque una legge tesa a promuovere una moschea, pur con paletti, prescrizioni e garanzie: chi la gestisce, chi la frequenta e, soprattutto, in che lingua vi si tengono sermoni e preghiere: in Italia si prega in italiano, o no?

Ovviamente, parlare oggi di nuova Moschea significa quanto meno rendersi assai poco gradito al comune sentire che persino in una città “diversa” come Milano è pregiudizialmente ostile all’Islam tout court, posponendo le ragioni dei musulmani che hanno diritto a praticare la loro religione con le ragioni dei cittadini sempre più angosciati di fronte all’escalation di terrorismo fondamentalista islamico: con che coraggio chiedono una Moschea, proprio loro!

Ha buon gioco Salvini a negare un diritto in nome di un clima diffuso ostile, sullo sfondo del grande tema della sicurezza. Ma ha anche buon gioco Parisi a replicare, sia pure coi toni consueti pacati, che una Moschea ci vorrebbe, previa una chiara legge nazionale. Ragiona da potenziale sindaco piuttosto che da candidato alla corrida elettorale, e un sindaco, futuribile quanto si vuole, non può non rispettare e far rispettare la Costituzione.

Questo è dunque il punto centrale: il rispetto della Costituzione, delle norme, delle leggi, della cultura, dell’identità (anche linguistica) dell’Italia. Fino ad ora una perversa concezione dell’integrazione coi musulmani in Italia ha come rovesciato i termini prescrittivi della Costituzione con un’interpretazione e un’applicazione nella quale gli obblighi di legge richiesti all’ospite finiscono annacquati, quasi vanificati, da una sorta di complesso di colpa, da un senso di colpevolezza secolare o di necessità utilitaristica tali da autoimporre l’obbligo opposto dell’accoglienza sempre e comunque, di un’integrazione senza alcun esame o patto, tanto “quelli” sono moderati, rispettosi delle leggi, e, diciamocelo, servono al Paese: luoghi comuni che hanno pesato e pesano ancora.

La via maestra per uscire da un cotale labirinto esiste, ancorché ardua e complicata. Ma fino ad un certo punto. Perché, infatti, non approfittare a Milano della questione Moschea per lanciare l’idea di un patto vero e proprio fra cittadini e musulmani? Una solenne convenzione - civile, civica e laica - fra gli abitanti di una città, in genere, ospitale e musulmani, molti dei quali appaiono integrati ma pur sempre e legittimamente appartenenti ad una religione diversa. Appaiare il diritto costituzionale al rispettivo culto, col dovere (e diritto) di rispettare leggi, norme, comportamenti, abitudini, modi di vivere e lingua del Paese in cui si vive e si lavora - godendo del welfare e delle libertà democratiche - è o potrebbe essere un passo significativo in avanti.

Ci vuole - come dire - un patto, un accordo sottoscritto dai contraenti; composto di pochi e chiari punti in cui si spiega chi siamo e che significano, a Milano e in Italia, i diritti e i doveri sanciti dalla Costituzione, il cui rispetto è la conditio sine qua non per giovare di quei diritti. L’integrazione, o meglio la convivenza, fallisce e Molenbeeck, Bruxelles, Parigi lo insegnano; quando manca da uno dei contraenti la volontà di “integrarsi”, di convivere, a livello della società civile.

Nessuno in Europa mette in discussione la religione dei musulmani, molti dei quali però confondono il diritto sacrosanto al proprio culto col quello, che diritto non è, di costituirsi, ad autorappresentarsi chiusi dentro la società laica occidentale, a serrarsi identitariamente dentro una città nella città; una città, una società chiusa nella società aperta. La nostra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58