L’uovo di Colombo

Non un uovo di Pasqua. Non un uovo con la sorpresa. Ma proprio l’uovo per antonomasia, l’uovo archetipale, l’uovo di Colombo. Che significa, soprattutto, la semplicità nell’indecisione, l’ovvia fattualità nell’incertezza dei dubbi. Nel caso di Milano, l’uovo infranto da Colombo (Gherardo) dimostra, in primis, che un ex magistrato richiamato in politica perché emblema di una stagione “giustizialista” si rivela indubbiamente più dotato di senso della Polis dei suoi propositori politicanti, rifiutando una candidatura quasi data per scontata. Siccome noi abbiamo una ben precisa convinzione di quella stagione in cui trionfarono i furori politico-giudiziari, possiamo tranquillamente indicare come, a volte, prevalga il richiamo all’intelletto piuttosto che quello della pancia (politica). La novità è che sia proprio l’uomo simbolo a destrutturare un disegno che, diciamocelo, era troppo sfacciato, troppo esplicitato, una narrazione per dir così trash, per potere camminare speditamente.

Detto questo, con l’aggiunta che l’indicazione respinta al mittente di Colombo capolista agevola un pochino la candidatura di Giuseppe Sala, resta da recitare tutto il rosario gauchista delle incertezze, delle contraddizioni e delle difficoltà del dopo Pisapia a Milano. E delle elezioni prossime venture. Peraltro, la stessa ventilata operazione Colombo la diceva lunga sullo stato di salute garantista di una gran parte della sinistra a Milano e non solo a Milano. E raccontava, insieme alle contraddizioni suddette, il grado di vera e propria antipatia che il buon Sala ottiene ancora dentro quel Pd che l’ha voluto, l’ha candidato e infine l’ha premiato con le primarie. Certo, ha giocato nel Pd milanese l’altra antipatia, non poco diffusa al suo interno, nei confronti di Renzi sponsor dell’ex commissario Expo. E la candidatura di Francesca Balzani in concorrenza, alla sua sinistra, più o meno arancione, confermava questo scarso amore nei riguardi del Premier, nonché segretario del Pd. Il quale sconta il gap fra la potenza del suo ristretto pugno di mischia di comando e la debolezza del suo controllo nella periferia del partito.

Comunque, gira e rigira, il discorso corre alle leggendarie primarie che se a Milano, diversamente da Napoli e dintorni, sono sempre state una competizione interna a prova di brogli, nondimeno hanno espresso, anche all’ombra della Madonnina, il lato nascosto, il “dark side”, la zona grigia e opaca. La stessa che proprio dalle Primarie avrebbe dovuto ottenere e garantire trasparenza, correttezza e lealtà. Da parte degli sconfitti, si capisce. Altrimenti che senso avrebbero, per esempio, le Primarie americane, quelle vere, se un candidato sconfitto invece di porsi al fianco del vincitore si industriasse a predisporre una sua lista avversa? Una follia. Se si osservano nella sinistra ambrosiana le giravolte, i ghirigori, le prese di posizione, i tranelli e le proposte alternative, compresa l’ultima poi rientrata di Gherardo Colombo, il meno che si possa concludere è che la strada di Sala, dapprima in discesa perché solitaria, è in salita.

L’irruzione di Stefano Parisi nella competizione più importante nel Paese, l’unica sulla quale la premiership di Renzi corre seri rischi in caso di sconfitta, ha scompaginato le carte. Naturalmente, la candidatura di Parisi è mediaticamente più debole di quella del suo concorrente che si giova del successo dell’Expo. Per ora, intendiamoci. Per Parisi si tratta di completare l’operazione di assemblaggio di un centrodestra fragile, reduce da sconfitte e non al meglio di sé dando un ardito colpo di reni che gli consenta una leadership capace di dare le carte perché simbolo unico di un’alleanza che vuole vincere. Un compito non impossibile ma tanto più arduo quanto più le pretese del dominio salviniano sull’alleanza si potrebbero far sentire sull’asse Milano Roma. Roma città eterna. Roma città aperta. Ed esempio di tante “ambizioni sbagliate”.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:39