
Vedi Napoli e poi muori, si dice così. Ebbene, “La repubblica delle giovani marmotte” è un felice titolo di un impareggiabile libro di Paolo Cirino Pomicino, per la Utet, che ci è parso il migliore indice da puntare sulle vicende delle primarie napoletane, non soltanto o non solo per l’origine partenopea dell’autore, ma soprattutto per il punto di partenza e d’arrivo, funerale compreso, di una brillante speculazione politica riferita al tipo di repubblica, e di sinistra, che è sotto i nostri occhi.
La disintegrazione dei partiti negli anni Novanta è di per sé, e per il modo mediatico giudiziario in cui è avvenuta, la ragione stessa, the reason why, di quanto accaduto, ma la ristrutturazione del sistema che ne è derivato ha imposto un orizzonte che, proprio in virtù del controcanto della scoppiettante prosa del libro, rimane chiuso, asfittico, impacciato e, dunque, senza respiro. Senza un domani. Il libro somiglia ad lungo un gospel dei funerali allegri di New Orleans, una cantata funebre impregnata di humour, a volte nero. La scomparsa delle grandi famiglie politiche che hanno ricostruito il Paese garantendogli un lunghissimo tempo di pace e di benessere sta certamente alla base del declinante panorama contemporaneo. Ma ciò che più richiama l’attenzione è lo stato delle cose di un Pd, ex Pci, ex Pds, ex Ds ex Ulivo e quant’altro. È un partito che, a differenza degli altri, l’ha fatta franca nella “purga” dei terribili Novanta. È scampato al massacro per una sorta di miracolo rientrante, per taluni, nella mistica categoria delle trascendenti apparizioni di Fatima che, tra l’altro, avrebbero dovuto consigliare i superstiti ad una sofferto bagno di pentimento e di riflessione.
Essere contestualmente sopravvissuti alla catastrofe del “socialismo realizzato” e alla ghigliottina all’italiana (“Mani Pulite”) doveva toccarli nei precordi, magari rinchiudendosi in un convento dei Benedettini (Bettino è diminutivo di Benedetto...) o abbonandosi mensilmente ai più celebri santuari europei. Oppure compiendo un tuffo consapevole nelle acque social-democraticamente purificatrici di Bad Godesberg, magari ragionando sul banale fatto che l’avere avuto torto dalla storia comporta(va) una autocritica severa approdando poi nel grande fiume che avevano abbandonato. Quando mai! Intendiamoci: a ciascuno il suo, parafrasando l’immortale Sciascia, ché la destra e il centro e pure la Lega hanno da fare autoflagellazioni in interminabili cammini a piedi nudi in quel di Compostela; ma non per quello che hanno combinato, al contrario, per ciò che non hanno realizzato, pur giovandosi di maggioranze a iosa. Ma ritornando alle primarie Pd di Napoli, a loro modo suggestive come e più dello strepitoso panorama del Golfo, ciò che appare francamente incredibile non è che siano state inquinate da taroccamenti e mercimoni, ma che simili trucchi siano stati scoperti praticamente in diretta televisiva. Non sembri questa una cinica battuta, ma piuttosto una pennellata, uno svelamento, la ciliegina sulla torta.
Il vecchio Pci ne faceva di tutti i colori, plaudiva ai carri armati a Budapest, inneggiava ai missili sovietici al servizio della pace e ne organizzava le marce conseguenti con affari e lucrose mance con la casa madre sovietica, ma mai e poi mai si sarebbe fatto cogliere in castagna come è accaduto domenica scorsa. E poi per quattro euro, diciamocelo. Roba da straccioni, avrebbe chiosato l’immortale Ghirelli, napoletano doc. Un punto dolente c’è e attiene alle primarie finora non codificate, interne, volontaristiche e dunque da rimettere nel solco di una legge, prima o poi. Ma il problema vero non è questo, giacché il tema “primarie sì primarie no” può costituire una discriminante fra il Cavaliere e Salvini & Meloni, forse anche un dibattito cripto-giuridico tipico da talk-show, che non si nega a nessuno perché, come il Nescafé, è solubile all’istante.
No, il problema è uno e uno solo: politico. Come sempre. La colpevolmente mancata svolta socialdemocratica dei postcomunisti li vuole giustamente alla sbarra, ma non da soli, ché la componente ex sinistra democristiana ci ha messo molto del suo olio d’ulivo nell’assembramento di un partito che, pure, ha governato e governa da decenni, esprimendo Presidenti del Consiglio e non solo. Ma il Pd non ha mai fatto una seria autocritica, non ha scelto la via maestra del socialismo democratico, non ha un baricentro, non è né carne né pesce. Ed è nostalgico della “ditta” di ascendenza gramsciana e berlingueriana, col bagaglio di immaginarie diversità e superiorità antropologiche facenti capolino nel disprezzo, ad esempio, di quel Verdini, ma anche di Alfano e pure del Cavaliere, senza cui il Governo Renzi avrebbe già dato forfait. Già, Renzi. Che non perde occasione per magnificare Tony Blair e il suo Lib-Lab, più Lib che Lab... Ma è più facile dirlo che esserlo. Per ora siamo nei pressi delle giovani marmotte, sul modello di uno scoutismo giovanilistico e tuttofare. Come si dice: con pregi e limiti, con luci ed ombre, il vecchio e il nuovo. Giovani marmotte e vecchie lenze, appunto.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58