Asimmetrie   e metempsicosi

Sforziamoci un attimo sul “che fare” politico, destra e sinistra compresi. Partendo, semmai, dal che hanno fatto gli schieramenti in campo, ad eccezione dei grillini che sembrano giocare da soli, per ora. Il discorso cade inevitabilmente a destra, dove un missile speciale contro Giorgia Meloni è stato scagliato dalla corazzata del Corriere della Sera di domenica. Colpita ma non affondata, la leader di Fratelli d’Italia, benché il colpo sia giunto a destinazione significando, tra l’altro, che le simpatie di chi rappresenta la corazzata di via Solferino vanno ad Alfio Marchini. In realtà, la Meloni ha dovuto subire l’assalto al suo territorio da parte di Matteo Salvini, che sta contando le schede di un referendum alla buona al termine del quale, al di là del risultato di Bertolaso, Pivetti, ecc., rimarrà un solo dato politico: la spaccatura del centrodestra.

Ben difficilmente gli avversari sarebbero riusciti ad ottenere questo risultato in una Capitale dove era proprio la sinistra in crisi, e toccava semmai alla destra quel colpo di reni unitario per aspirare al Campidoglio. Il bello è che questo colpo era già in canna, era in fieri con la candidatura di Marchini, peraltro gradita a Silvio Berlusconi, ma poi il diavolo meloniansalviniano ci ha messo la coda, intorcinandosi ulteriormente con la candidatura di Guido Bertolaso, prima unitaria e subito dopo contestata donde le primarie e i gazebo, e i cinesi in soccorso. Insomma, il fuoco amico.

E meno male che a sinistra le cose non vanno meglio. Bastava dare un’occhiata al vero e proprio interrogatorio dei quattro candidati di sinistra da parte dell’Annunziata sul terzo canale di domenica scorsa, che ti trovavi di colpo in un’aula della Pretura senza però l’avvocato d’ufficio. Che spettacolo! Il panorama politico romano finisce dunque  in un labirinto nel quale sembra smarrita la capacità della politica di riannodare il filo, di riprendere un discorso concreto e, soprattutto, di indicare a Roma un’idea di città. Su cui, almeno dall’osservatorio milanese, il meno unfit a guidarla continua ad essere il buon Marchini. E, come nel gioco dell’oca , si torna al punto di partenza. Sullo sfondo delle rovine politiche e non si staglia un paesaggio di incertezze su cui ha fatto buon gioco la spasmodica ricerca della disunione pur di affermare una propria leadership, come nel caso di Salvini versus Meloni e persino in una Roma (una volta ladrona) non esattamente prodiga di consensi alla Lega, ed ora terra di conquista a costo di “mettere sotto” la Meloni per indicare ad Arcore e dintorni che adesso “il padrone sono me”, padrone del centrodestra, si capisce. E almeno a vedere i sondaggi cui spesso i mass media del Cavaliere offrono, quotidianamente, molto più di un aiutino. Tanto più che Salvini, frequentatore assiduo di tivù, sa come usare il medium, peccato che poi dimentichi che in una campagna elettorale per Roma, Napoli, Torino e Milano è obbligatoria una ed una sola esigenza: l’unità delle coalizioni intorno ad uno ed uno solo dei candidati.

La vicenda di Milano è speculare a quella romana, nel senso che è rovesciata, asimmetrica e, diciamolo pure, sorprendente. Qui il gioco salviniano al massacro delle candidature si è fermato a Lupi in nome dello slogan “Mai con chi sta al governo con Alfano, semmai potrei fare l’assessore alla Sicurezza”, sottolineando così il vero obiettivo nazionale e, più sottotraccia, la convinzione che a Milano la partita fosse persa a vantaggio di Beppe Sala.

Invece il diavolo (quello del Milan, si direbbe) ci ha messo una coda azzeccata con la  candidatura di Stefano Parisi. Il quale ha sconvolto letteralmente tutti i giochi e giochini, sia a destra che, soprattutto, a sinistra e, infine, nella città. Si è verificata una sorta di inedita metempsicosi dell’anima politica, una trasmigrazione benefica, passata dal caos all’ordine, dalle frammentazioni all’unità secondo una traiettoria virtuosa che ha rotto l’incantesimo. A cominciare da una sinistra le cui primarie avevano scelto Beppe Sala, uscitone sia pure fra mille distinguo, evidenti antipatie, e non poche stilettate alle sue origini morattiane (respinte sdegnosamente e incautamente dall’interessato). Le sue chance di vittoria sono state certe fino alla suddetta metempsicosi in virtù della quale il no secco salviniano a (“Mai sul palco con Alfano ministro di Renzi”) si è alleggerito, fino al sì all’alleanza proprio con quel Maurizio Lupi che di Renzi è stato ministro ed è tuttora alleato decisivo. Mai dire mai in politica. Per di più, i sondaggi milanesi danno i due manager in gara per Palazzo Marino a poco distanza l’uno (Parisi) dall’altro (Sala), confermando in tal modo le asimmetrie fra Milano e Roma. Due Città-Stato in cui le primarie hanno offerto una lezione indimenticabile.

Nella Capitale hanno misurato il grado divisivo soprattutto nel centrodestra. A Milano, nel Partito Democratico, i gradi di divisione sono stati abbastanza silenziati, ma non fino al punto di mostrare come equalmente senza quelle strane primarie antipatizzanti uno come Sala avrebbe vinto a mani basse nella città. Ma non era ancora arrivata la metempsicosi Parisi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03