
Che spettacolo! Che scena! A vedere i nostri talk-show che si rincorrono instancabili (loro, non noi) da mane a sera, si resta basiti dall’incalzante Cavalcata delle Valchirie, tipo Apocalypse Now. Ci mancano solo i rumori delle pale d’elicottero e il colonnello Kilgore alfine saziato nell’olfatto dall’odore del napalm “che sa di vittoria!”. Ai talk s’addice lo slogan del “vi abbiamo dato tutto! Troppo. E continuano a dare, a dare, a dare. Che cosa,? Parole, come nella canzone di Mina e Alberto Lupo. Tanto bulimici nel dare o nel dagli all’untore politico di turno, quanto scarsi nel gratificarci di una concretezza, di un cenno di risposta, soprattutto di un appiglio, di un aiutino, nella giungla feroce dello sconforto.
Alzi la mano chi non ha visto almeno uno dei talk sulle intercettazioni Usa ai danni del Cavaliere e suoi amici, italiani e stranieri. E alzi almeno un ditino chi è riuscito a captare un segnale se non di riscossa, almeno di risposta. Un silenzio assordante dalla Casa Bianca. Un’anodina presa di posizione del Governo, anche se Minniti sa il fatto suo. Poi, si capisce, il codazzo di risse, liti, insulti, accuse, recriminazioni. Il resto, cioè il rimedio, è silenzio. Però, però...
Una controtendenza s’è affacciata in uno dei talk-show migliori, il “Matrix” di Telese, presenti Brunetta e Friedman. Ne abbiamo sentite di tutti i colori, mentre la tenera e paziente Rossi Hawkins stava ad ascoltarli in diretta da New York. Il conduttore ha gestito da perfetto capostazione dell’etere non avendo bisogno di fare l’arbitro di boxe con i due abbastanza tranquilli. Brunetta non le ha mandate a dire, insistendo con incisivo accanimento terapeutico sulle ombre pesanti di golpe da lui sempre denunciate. Ed ora confermate, dice lui, dalle intercettazioni la cui gravità, ma, e questo lo diciamo noi, non soltanto è ontologica, ma consiste anche nell’essere state scoperte, sia pure dalla “professionalità” di WikiLeaks.
Le intercettazioni comportano sempre degli interrogativi e buchi neri, in genere voluti. Due quelli indicati dal pugnace capogruppo di Forza Italia: l’assenza, nelle telefonate carpite, di Giorgio Napolitano, supposto regista del “complotto” europeo ai danni del governo di Berlusconi e l’interrogativo sulla tecnica d’intercettazione, giacché il Cavaliere non aveva un cellulare e dunque “ci deve essere stata qualche intercettazione ambientale”, tesi di Brunetta. Ora, se è grave una intercettazione su un Premier, per di più amico, figuriamoci l’enormità di un reato vero e proprio in caso di “cimici” a Palazzo Chigi. È probabile che anche per questo dettaglio si stia muovendo la Procura di Roma aprendo il mitico fascicolo. La speranza di tutti noi è che venga riempito da solidissime “prove indiziarie” anche se lo stesso Milton Friedman, autore di un interessante libro su Berlusconi di quel drammatico 2011, ci ha, da un lato ingolositi ricordando la telefonata del Quirinale a Barroso da cui l’allora potente commissario dedusse apertis verbis che l’Esecutivo del Cavaliere era terminale e, dall’altro, che questa storiaccia sarebbe finita come accadde con le intercettazioni contro la Merkel, con le pubbliche scuse di Obama. Tesi, quest’ultima, rafforzata dalla Rossi Hawkins: qui in America, questa storia è praticamente inesistente, anche perché tutti sanno di essere tutti intercettati, dopo l’11 settembre.
Le ali della nostra speranza saranno dunque tarpate? Quasi certamente sì, anche per via della progressiva dimenticanza che questa storia subirà nei prossimi giorni perché lo show must go on. Uno show prevalentemente antipolitico, beninteso. E la politica? Forse, anzi senza forse, sarebbe questa l’occasione migliore, ma non l’ultima, temiamo, per un colpo di reni della Polis, tutta compresa. Un sobbalzo di vita, di presenza, di dignità. È la politica che deve togliersi di dosso il fango intercettativo, non solo chi governa (che potrebbe finire negli stessi guai) ma gli eletti dal popolo, tutti, indistintamente, sono loro che devono riflettere sul chi, come, quando e perché siamo giunti a questo ennesimo schiaffo alla nostra identità, alla nostra autonomia, alla Nazione, che è di tutti.
Golpe, politico e soprattutto dai fini economici e finanziari, i cui fili partono da Oltreoceano ma s’intrecciano in Europa, sempre con gli stessi poteri dagli stessi scopi. Golpe, una parola pesante, e ci vogliono le prove. Non bastano le intercettazioni, certo, ma il risultato economico è stata dopo il Cavaliere la svendita di una parte del Paese. Il che riporta alla mente il Golpe di Tangentopoli, che è davvero la madre di tutti i colpi di Stato e i cui risultati furono la distruzione della Prima Repubblica e il colossale shopping di aziende italiane. Siamo troppo schematici? Forse pretendiamo troppo da una politica che non c’è. Zitti che l’amico ti ascolta! Bell’amico...
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:34