I cinesi di Roma e le primarie del Pd

Il 6 marzo si svolgono le primarie del Partito Democratico a Roma e l’attenzione principale non riguarda la corsa dei vari candidati (la partita è tra Roberto Giachetti e Roberto Morassut), ma il comportamento della comunità cinese della Capitale. Già, come si comporteranno le molte migliaia di romani d’adozione provenienti dall’Estremo Oriente? Seguiranno l’esempio di Milano dove hanno votato in maniera compatta in favore del candidato renziano Beppe Sala o si divideranno tra i vari candidati aumentando comunque la percentuale della partecipazione popolare all’evento del Pd?

Per evitare il rischio di essere accusati di strumentalizzazione alla milanese alcuni esponenti della comunità hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione chiamata “Radici di gelsomino” e diretta a far conoscere ai propri appartenenti i diversi candidati delle primarie del Pd. Non solo Giachetti e Morassut, ma anche gli altri. Ma nel prendere questa decisione a nessuno è passato per la testa di spiegare perché mai l’intera comunità cinese debba partecipare in blocco alle primarie del Partito Democratico. C’è stata una conversione di massa o, al momento del loro arrivo in Italia, i cinesi che vengono a Roma aprono un negozio all’Esquilino e, contemporaneamente, si iscrivono al Pd?

La questione non è di lana caprina. Perché se a Milano la polemica sui cinesi si è incentrata sull’accusa di una convergenza compatta della comunità sul candidato renziano Sala, a Roma la polemica rischia di divampare su una questione molto più grave che riguarda il rapporto esistente tra lobby (siano esse etniche o religiose o economiche) e le primarie sprovviste di qualsiasi regola di corretta democrazia.

L’augurio è che la comunità cinese della Capitale decida di incontrare e conoscere i candidati di ogni singola forza politica e non del solo Partito Democratico. Perché se così non fosse bisognerebbe necessariamente interrogarsi sul perché della preferenza nei confronti del solo Pd e cercare obbligatoriamente di capire le ragioni di questa preferenza.

Il sospetto di voto di scambio rischia di diventare concreto ed inquietante. Soprattutto dopo che la magistratura ha denunciato il fenomeno di “Mafia Capitale” e ha portato alla luce gli intrecci tra la politica capitolina e gli interessi di lobby economiche affiancate a lobby criminali.

La comunità cinese di Roma è pacifica, integrata, efficiente e non merita sospetti del genere. Ma il Pd romano ha troppe colpe da farsi perdonare per correre il rischio di trovarsi al centro di un nuovo caso di voto di scambio!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07