
Chi si fosse sintonizzato su tutti i telegiornali dell’altra sera, sarebbe stato colpito al cuore, proprio al cuore, da un profondo, insondabile e incontenibile senso di colpa. Immagine dopo immagine, commento dopo commento, naufragio dopo naufragio (con la quota a parte di bambini annegati), il cuore e la mente dello spettatore venivano avvolti da una nube di dolore che, ancorché indiretto, andava a collocarsi nel lato oscuro di ciascuno, costituendo le premesse di un malessere destinato poco dopo a tramutarsi in una sensazione di sconforto a sua volta sfociante in un vero e proprio senso di colpa.
In uno di questi tg, non ricordo più quale, benché fossero risparmiate le emozionanti sequenze del piccolo annegato e poi preso in braccio e mostrato al mondo crudele e insensibile - donde l’indignazione della Cancelliera Angela Merkel - il commento citava una dichiarazione di Amnesty International secondo cui non soccorrere i profughi costituisce un reato contro l’umanità. E così il senso di colpa cresceva, s’insinuava nei precordi e quindi nei cervelli e, infine, in una resa della mente ad una responsabilità diretta individuale che non corrisponde alla realtà della questione. E che, anzi, la manipola e la distorce in modo da impedire una presa d’atto obiettiva dello stato delle cose. Insomma, la vicenda dei profughi, com’è quasi sempre tradotta televisivamente, ribalta la cronistoria, dalle origini in poi, del fenomeno invero epocale, e deforma la sua stessa storia, sì da rendere colpevoli non ì diretti responsabili della fiumana umana che si riversa sull’Europa, ma gli innocenti europei, siano essi del Sud, del Centro e del Nord.
La colpevolizzazione di chi nulla ha a che fare con la causa vera della catastrofe costituita dai regimi in sfacelo e dai fanatismi del califfato in Medio Oriente, l’impropria chiamata alla sbarra morale dello spettatore tipo della nostrana informazione televisiva, non è sempre voluta dai comunicatori i quali, a loro volta, si lasciano condizionare dalla facoltà, invero a portata di mano cioè di video, di dare facili colpi allo stomaco - contando anche sull’aumento dell’audience - all’incauto spettatore finendo con l’aggregarsi al coro unidirezionale di un buonismo fatto di slogan a buon mercato, di frasi fatte, di indignazioni un tanto al chilo il cui risultato è duplice: un danno agli stessi profughi e una reazione di destra di una parte non secondaria degli spettatori. C’è come un processo di criminalizzazione del fruitore passivo della comunicazione televisiva che ha una delle sue molteplici ragion d’essere in quell’ideologia di risulta che chiamiamo buonismo, ma anche nella pigrizia di un sistema informativo che stenta a trovare le parole giuste, appropriate, sicure perché la svogliatezza fa aggio sulla ricerca, anche la più semplice, interdicendo quella portata, ritenuta ingiustamente secondaria del medium, che chiameremo riflessione, a vantaggio della sloganistica del luogocomunismo, spesso addirittura, lo ripetiamo, involontaria, procedente per automatismi.
Cosicché, la stessa decisione della Svezia di sinistra di rimpatriare tot centinaia di profughi-clandestini fa abbaiare contro cotante “mostruosità” di un tralignante paese da sempre pacifista, Premio Nobel democratico, socialista e adesso seguace della “razzista” Ungheria, omettendo però di far risaltare la nettissima sproporzione fra abitanti e immigrati. Di questo, semmai, Svezia, Danimarca, Germania e infine la stessa Italia, sono responsabili: di non aver fatto bene i conti con l’immane tsunami dell’emigrazione, di essersi lasciati fuorviare da un filosofeggiare astratto con poco o punto contatto con la realtà, rifiutando di farne i conti in nome e per conto delle buone intenzioni. Fingendo di ignorare che la strada verso l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58