
Pare che alla fin fine il presidente iraniano non avesse chiesto affatto di coprire le pudenda delle statue e dei quadri. E che i braghettoni fossero annidati tra gli oscuri funzionari del cerimoniale italico e persiano. Così la commedia degli equivoci è andata in iscena contemporaneamente agli equivoci da pochade. La figura miserrima di Renzi e Franceschini, costretti a smentire che sapessero delle coperture, è stata viepiù, se possibile, aggravata dalla smentita dei funzionari della soprintendenza, che sapevano ma hanno dovuto piegarsi, a quanto pare, alle decisioni dell’entourage governativo. Davvero uno spaccato di quell’italianità che costringe i pochi patrioti a vergognarsi. Siamo passati in pochi giorni dalla copertura dei Rolex all’occultamento dei capolavori.
Facciamo un passo indietro per dimostrare che una certa propensione a fraintendere il senso dell’ospitalità e del rispetto, rettamente inteso nei rapporti tra nazioni, è intrinseca al carattere degli italiani. Quando anni fa un governo sedicente liberale accolse il dittatore Gheddafi a Roma e gli consentì di erigere tende da deserto in un parco storico di Roma, poche vocine s’udirono contro la balzana concessione all’ospite. Molto peggio fu l’inqualificabile baciamano del primo ministro italiano al tiranno libico, mentre l’entourage di allora applaudiva con un ebete sorriso stampato in faccia. Nessuno invitò almeno una delegazione delle migliaia d’Italiani depredati e cacciati dalla Libia nel giro d’una notte. Pro bono pacis, si disse. Di quale pace si trattasse, fu chiaro di lì a poco con la ribellione libica che trucidò il tiranno. La domanda è: che cosa si ottenne che non potesse essere ottenuto senza baciamani e senza baci spudorati? Senza piegare la dignità nazionale al compiacimento di un esecrabile tiranno?
Oggi a Roma abbiamo assistito alla manifestazione di un volgare senso del pudore, la quale ha gettato discredito sull’Italia e sui suoi governanti, facendoci commiserare dall’universo mondo per l’inveterata abitudine a comportarci servilmente nella speranza di meritarci l’apprezzamento di chi può scucirci qualche soldo. Al pranzo al Quirinale, dove è l’Italia che invita, non il presidente della Repubblica o del Consiglio, non è stato messo in tavola il vino per non offendere l’ospite persiano. Mi aspetto che, quando la visita sarà ricambiata, a Teheran sia servito il vino per rispetto dell’ospite italiano. E, quanto al vino, l’omissione è bruciante. Nell’antichità il nome dell’Italia era Enotria, terra del vino! Ma, tra tanti lacchè, chi lo ricorda?
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:33