Renzi-Grillo,epurazioni   e... referendum

Il richiamo del nostro direttore (su “Il Giornale” del 28 dicembre) alle necessità urgenti imposte ai democratici, in primis alle sparpagliate forze del centrodestra, di predisporre le misure per opporsi al referendum “costituzionale” del prossimo anno, hanno assunto quasi il tono della premonizione alla luce della successiva dichiarazione renziana di fare di questo referendum una sorta di hic Rhodus, hic salta, il punto di non ritorno o di dimissioni (a seconda del risultato) della sua vicenda politica.

In effetti, ciò che Renzi ha lanciato nella sua fluvialmente ottimistica conferenza stampa di fine d’anno, ha l’aspetto tipico del guanto di sfida, uno dei tanti, cui ci ha deliziato in questi mesi il Premier secondo la tecnica di Sun Tzu per cui è sempre meglio muoversi che stare fermi offrendo all’avversario un sfida a ripetizione per confonderlo e logorarlo. Puntare sul referendum popolare delle riforme portate a casa dalla Boschi, icona (ora) leggermente scheggiata del renzismo (allora) trionfante imporrà una diversa strategia ai suoi antagonisti, fermo restando il fatto che si tratta di una chiamata alle urne non particolarmente attraente per la gente, anche se assumerà il ruolo di evento mediatico elaborato e gestito da Renzi, al Giglio Magico, dalla Leopolda - in realtà il nuovo Pd, quello vecchio non c’è quasi più - a, soprattutto la Rai, sulla quale il Premier ha allungato il suo cono d’ombra protettivo, ovverosia le sue capaci mani, come e più di chi l’ha preceduto.

Dire comunque che, approvate quelle riforme, si finisca in un regime autoritario non sembra del tutto verosimile benché i rischi, specialmente nel sistema elettorale monocal-maggioritario, siano possibili. Donde l’obbligo politico, per chi teme simili esiti, di predisporre argini, comitati, gazebo, raccolte firme, proposte e quant’altro. Ma ci sia lecito un certo scetticismo sul tasso di mobilitazione delle suddette forze sparpagliate, dove è ben insediato il virus della sonnolenza non disgiunto da una perniciosa abitudine a non pensare più politicamente, salvo, beninteso, le quotidiane sparate insultanti purtroppo all’interno dello stesso schieramento mettendo nel mirino delle mitragliate questo o quello che se ne è andato e omettendo l’aurea regola secondo la quale, semmai, vanno fatti dimenticare gli scissionisti col silenzio, altrimenti... E vabbè. Ma se il renzismo, detto anche populismo di governo, assume spesso l’aspetto, e non solo l’aspetto, di una spavalda corsa al potere, occupandone tutti gli spazi possibili e immaginabili in assenza o quasi di una strategia di fondo, senza cioè una visione nazionale e internazionale (europea) di largo respiro, uno sguardo alla sua opposizione radicale, cioè al Movimento Cinque Stelle di Grillo & Casaleggio è d’obbligo. Soprattutto alla luce di due fatti recenti: l’espulsione della senatrice rea di non restituire i soldi dello stipendio e un articolo del Financial Times. Vera o falsa l’accusa, l’aspetto più grave ed inquietante per il M5S è che non si è trattato di un processo dove c’è un accusatore e un’accusata, ovvero l’accusa e la difesa, ma soltanto il web, la votazione col click, il rito degli iscritti devoti al mitologico dio supremo davanti al cui altare si devono inginocchiare tutti, in attesa della sentenza che, ovviamente, è non soltanto inappellabile ma priva di qualsiasi difesa da parte dell’incolpato/a. Come chiamare tutto ciò? Una cacciata, un’epurazione, una esecuzione sommaria, peraltro con alle spalle decine e decine di espulsi in pochi anni. E la chiamano democrazia diretta. E (ri)vabbè. Last but not least, un sorprendentemente disinformato articolo dell’autorevole Financial Times sul M5S e in particolare sulla sua new entry: Luigi Di Maio. Il quale, secondo questo inedito soffietto britannico, sarebbe il volto rassicurante del M5S da contrapporre al Grillo sbraitante e insultante; un Di Maio dipinto con toni elogiativi, visto come una possibile alternativa alla imbarazzante setta grillina, spesso e volentieri sbracante che, tra l’altro, è seconda nei sondaggi dopo Renzi e che, sempre a sentire il FT, forse per tranquillizzare l’establishment internazionale in caso di sua vittoria, sarebbe il vero antidoto al populismo xenofobo che sta avvelenando l’Europa. Un antidoto Grillo? Ma va... Deve essere sfuggito al FT, fra le tante perle del movimento portatore di antidoti, quella dell’onorevole Manlio Di Stefano a proposito dell’Isis, di Israele e degli ebrei nel mondo: “Il terrorismo islamico non esiste... anche in Palestina muoiono per la volontà del governo israeliano di annientare un gruppo nazionale, razziale e religioso: si tratta di un genocidio giacché il binomio ebrei-Israele mira a proteggere le bestialità dello Stato d’Israele contro il popolo palestinese nascondendole sotto l’ombrello della protezione degli ebrei nel mondo”.

Così parlò l’antidoto alla xenofobia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:09