Sono preoccupato per Romani (Paolo)

Davvero, è proprio così. Sono preoccupato per Paolo Romani. Ma non c’entra il terrorismo con la macelleria dell’Isis. Figuriamoci, poi, le questioni interne al suo partito che contano fino a un certo punto. Non sono preoccupato per Romani neppure per un futuro politico che, diciamocelo, non potrà essere roseo, al massimo rosso (sangue), o nero. Romani questo lo sa e, giustamente, non se ne preoccupa affatto. Ha ben altro per la testa il capogruppo del terzo o quarto partito del Paese.

Domanda, che cosa ha per la testa un leader parlamentare come lui? Questo è il problema. Questo è l’interrogativo. E questa, diciamocelo, era ed è la mia preoccupazione che sta, appunto, nella risposta. Una risposta che, per la verità, ci è stata offerta da lui medesimo, per così dire, su un piatto d’argento, con una dichiarazione, un dispaccio d’agenzia, un tweet nel bel mezzo di una domenica di approfondimento televisivo a proposito del mattatoio parigino. Nel pieno di un dibattito a più voci, molte dissonanti, col sigillo stavolta dato dal preambolo di Massimo Giletti - che, nella sua efficacia apodittica, lasciava giustamente ben poco margine alle arrampicate sugli specchi dei soliti dialoganti da strapazzo - e della stessa Lucia Annunziata, compresa e un po’ tesa perché alle prese con pluralistici commenti di cui il migliore ci è parso quello dell’esperto di Servizi segreti coi suoi appunti ai buchi neri di quelli francesi, per non dire delle consuete paginate elettroniche dell’informazione Sky, ecco che lo schermo di colpa si illumina, la scena si anima, si impenna, si surriscalda e si infiamma: è arrivata la D’Urso (Canale 5).

Ammetto che, così, d’acchito, mi sono chiesto: ma la nostra Barbara che c’entra con tutto questo sangue innocente, con questa Apocalisse che ha oscurato il cielo della più bella città del mondo? Poi, però, il rapido pensiero è arretrato di fronte alla ovvia constatazione che, apocalisse o non apocalisse, Isis o non Isis, Salvini o non Salvini, la domenica pomeriggio è un must della brava Barbara. Tv della rabbia in rosa? Tv del dolore? E televisione della commozione dei cuori di mamma, di sorella, di fidanzata? Mettetela come volete, ma la D’Urso ha un mood tutto suo evocante una sorta di Sophia Loren sfuggita al controllo di De Sica, uno stile irruento e pur barocco nei collegamenti tirando fili dallo studio che solo lei conosce e che a volte le rispondono.

A questo punto vi e mi chiederete: ma il buon Romani che c’entra? Intanto, Paolo Romani è parte essenziale della storia della tivù commerciale-privata-locale, la conosce come le sue tasche, l’ha fatta, l’ha quasi inventata, l’ha diretta: dalla leggendaria cantina di Telelivorno al balzo negli studios milanesi di Rete A, Canale 51, Milano Tv, Telelombardia. E l’ha pure riempita, questa tivù degli albori, di contenuti, di spettacoli, di eventi, insomma, di idee, come dire, sui generis. Ebbene, che ti combina Romani nel corso dello show della D’Urso, con tanto di prezzemolo Salvini e di Viminale-Alfano ospiti? Se ne esce con questo inappellabile post: “Sei inadeguata, insopportabile. Occupati di amori, di canti, di balli, di pettegolezzi, non di problemi seri. Dov’è il direttore di Canale 5?” (sic!). Sembrerebbe più un ordine di servizio che una critica, e poi con quel dov’è Brachino (che è il direttore di Canale 5) che gli deve essere scappato dalla bocca.

Naturalmente le reazioni sono state favorevoli a Barbara consentendo a Salvini, sì proprio a lui, di assumere toni pensosi, da saggio uomo di Stato per il quale è “molto triste che la politica attacchi un conduttore televisivo” (sic!). Noi non critichiamo affatto Romani né, tantomeno, il suo peraltro legittimo tweet contro Barbara D’Urso. Noi, come dicevamo all’inizio, siamo preoccupati per lui. Siamo in pensiero per uno dei fondatori (leggete il bellissimo “Mucchio selvaggio”!) della tivù che dire privata o locale o commerciale ha oggi poco senso. È la tivù che conosciamo oggi, sempre quella, sempre alta e bassa, dei canti, dei balli, dei gossip, sempre del dolore e dell’infotaintment, sempre della rissa e dello spettacolo, dei talk-show e delle soap. Delle soap opera, che Romani portò in Italia trenta e più anni fa, dopo la scoperta delle telenovelas latino-americane (Veronica Castro in primis), dei cartoni animati giapponesi da lui importati, per non dimenticare l’acquisto del mitico nanone nero, esilarante “Il mio amico Arnold”, e poi il cosiddetto calcio dei guardoni che commentano in studio, da allora, i monitor, per non dire della famigerata lampadina rossa, che ordinò di mettere in onda con la scritta “Fra due ore andrà in onda un film hardcore”. E ci andò davvero, titolo: “Cancan”.

Ora c’è questa insistente voce che abbiamo avvertito, un misterioso, quasi imperioso messaggio diretto a Romani, un continuo rimprovero che bussa alla sua memoria. Che ci preoccupa e lo deve preoccupare. È la voce della “sua” tivù, la coscienza della sua mission, il richiamo di una responsabilità identitaria incancellabile. Un voce mistica, ultraterrena, autorevole nella sua inquietante supplica, simile ad una condanna: Saulo, Paolo, perché mi perseguiti? Come non essere preoccupati per Romani?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10