
Va pur detto papale papale: hanno fatto tutto da soli. Dalla Severino alle Primarie, hanno cercato guai. E li hanno trovati. Hanno forzato, violentato la politica in crisi (ai tempi di Monti), manipolandola e piegandola di nuovo a paradigmi volutamente mirati alla sua sottomissione a poteri extra (illuminante e inquietante l’articolo del nostro Capone sulle contiguità fra progetti casaleggiani e quei poteri antipolitici) di cui la “Severino” è il distillato più micidiale e, al tempo stesso, più rovesciabile proprio contro chi l’aveva preparata, approvata e applicata.
Chi non ricorda la pervicace tenzone parlamentare animata dal Partito Democratico, con Renzi ultraconsenziente, usando la “Severino” come una clava contro il Cavaliere da espungere brutalmente dalle Camere pur in presenza di obbligatori rinvii onde chiarire limiti e applicazioni legittime di quella legge? Rieccoci alla surrettizia applicazione di una giustizia-legge ad personam pur di eliminare un avversario politico senza neppure rendersi conto che quell’utilizzo contribuiva a sprofondare sempre più la politica nella funzione ancillare d’altri poteri ed a predisporre trappole fatali contro altri protagonisti ben diversi da Silvio Berlusconi, a cominciare da decine e decine di consiglieri, sindaci, governatori, di cui il caso De Luca è l’emblema più clamorosamente istruttivo.
Perché questo è il vero punto di ricaduta dell’intera costruzione severiniana definita allora come antidoto essenziale alla corruzione, quando, invece, si sta risolvendo in una tragicomica rappresentazione di una tarda commedia degli inganni a sfondo vendicativo, i cui esiti principali porteranno fieno in cascina alla ditta Grillo & Casaleggio, appunto. Complimenti agli autori, verrebbe da dire, se non fosse che il caso De Luca contiene qualcosa di più e di diverso dal canovaccio tradizionale, non tanto o non solo per la personalità pugnace e indubbiamente apprezzata elettoralmente del Governatore, già sindaco di Salerno, quanto per la compresenza di attori a loro modo decisivi nella questione dell’applicazione o meno della legge, protagonisti alternativi perché giudici ma, secondo i Pm, complici e minacciosi in una trama che richiama la strategia del ragno di un Borges, ma in chiave casereccia su uno sfondo grigio, opaco.
Mai come in questo caso la legge del boomerang è sempre dietro l’angolo, giacché sarebbe bastato non presentare il Governatore (come vuole la “Severino”) per evitare i guai di oggi. Ma come la mettiamo con le leggendarie Primarie, con il consenso, con la prorompente figura delucana e, non dimentichiamolo, con quell’altalena dei sì e dei no dei Tribunali sulla sua candidatura, ennesima e sconfortante testimonianza di una legge all’italiana a double face, ora clava antinemico, ora adattabile, interpretabile, modellabile. Ma c’è dell’altro e che riguarda direttamente il Premier e ne richiama il ruolo di guida, più che del governo, del suo Pd. Un partito “suo”, questo Pd? Non ne saremmo tanto sicuri, tanto più che dalla vicenda Marino alla vicenda De Luca, per fermarci a questi esempi ma non ne mancano altri, emergono i limiti vistosi della debolezza renziana nella conduzione di un partito che nel giro di qualche mese ha assistito alla fuoriuscita di una quarantina di parlamentari - il che non sembra turbare un Premier per il quale vale il detto del sublime Salvador de Madariaga: “la gauche à toujours quelche chose de sinistre” - e che, soprattutto, appare assai poco attrezzato e disponibile, un po’ dovunque, ad assecondare i disegni renziani a proposito delle imminenti, decisive elezioni amministrative, da Roma a Milano a Napoli.
C’è da scommettere che ancora una volta le mitiche Primarie, inventate anni fa da un qualche Archimede Pitagorico di ritorno dagli Usa, saranno pretesti per scontri interni all’arma bianca, una sorta di tutti contro tutti cui seguirà, per dirla con un lucido Paolo Mieli, un immancabile bagno di sangue. A meno che...
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10