
Chi pensa che le elezioni politiche verranno anticipate di un anno e saranno celebrate nel 2017 ha una ragione in più per avallare questa sua ipotesi. Questa ragione si chiama fine della gran parte degli sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato decisi dal governo nel 2015 per rilanciare l’occupazione e favorire la ripresa economica. Grazie alle decontribuzioni sulle assunzioni si è ottenuto un aumento di circa trecentomila posti di lavoro rispetto al 2014. Il che, come è stato evidenziato con particolare enfasi dai media governativi, è stato un risultato sicuramente importante. Ma il prezzo pagato dallo Stato è stato molto salato. Al punto che su sollecitazione del ministero dell’Economia si è già deciso di incominciare a ridurre da quest’anno il bonus di decontribuzione per evitare di registrare al termine dei tre anni di applicazione del provvedimento governativo un buco al bilancio dello Stato di una cifra vicina ai venti miliardi di euro. Si è calcolato, infatti, che i contratti a tempo indeterminato sottoscritti nel 2015 dalle aziende per usufruire del bonus triennale di decontribuzione costeranno nel 2017 allo Stato più di 12 miliardi, cifra a cui si dovranno aggiungere nell’anno successivo altri quattro o cinque miliardi per i contratti con bonus del 2016 e via di seguito fino ad esaurimento negli anni successivi della misura straordinaria varata a suo tempo per rilanciare occupazione e ripresa.
Che succederà quando i bonus dei contratti del 2015 si esauriranno e quelli ridotti degli anni successivi incominceranno a rendere più lento il ritmo delle assunzioni? La risposta è semplice. Se ci sarà stata la ripresa dell’economia, i contratti rimarranno in essere. Ma se la ripresa sarà ancora lontana o continuerà a stentare come adesso, le aziende incominceranno a liberarsi progressivamente dei dipendenti in esubero nella impossibilità di sostenere i costi non alleviati dal bonus. In pratica si tornerà agli alti livelli di disoccupazione con grande delusione e forte tensione sociale.
Di qui la previsione delle elezioni anticipate nel 2017, anno in cui il Governo potrà ancora sostenere di aver fatto aumentare l’occupazione e di aver provocato la ripresa. Nel 2018, anno di scadenza naturale della legislatura, le aziende avranno già avviato il processo dei licenziamenti e sarà più difficile per Matteo Renzi di impostare la propria campagna elettorale sul merito di aver battuto la crisi. Quest’ultima, purtroppo, non è stata ancora vinta. E più passa il tempo più diventa evidente che la riduzione della disoccupazione attraverso la decontribuzione dei contratti è stata una manovra illusoria finanziata come in passato dal ricorso al debito pubblico.
Si poteva fare di meglio? Forse no. Ma si poteva sicuramente evitare di imbrogliare gli italiani spacciando come innovativa un’operazione in deficit vecchia come il cucco!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16