La partita geopolitica di Matteo Renzi

La scorsa settimana si sono riuniti a Parigi i ministri degli esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna alla (impalpabile) presenza dell’Alto Rappresentante della politica estera della Ue, Federica Mogherini, per discutere dei dossier aperti sulle crisi in Medioriente e nel Mediterraneo. Il governo italiano è stato escluso dal vertice. Peggio, sembra che dell’iniziativa la Farnesina non fosse stata avvisata. Eppure sul tavolo c’era la spinosa questione libica che dovrebbe riguardare prioritariamente l’Italia.

Matteo Renzi in visita alle Nazioni Unite, stizzito dall’affronto subìto a Parigi, ha colto l’occasione per togliersi il sasso dalla scarpa dissociandosi platealmente dall’iniziativa francese di iniziare, da sola, i bombardamenti in Siria. Ma sono schermaglie che lasciano il tempo che trovano. Tutto ciò che sta accedendo rappresenta il sintomo di un male che a Roma si continua a negare: la decisione unilaterale del governo italiano di rinunciare ad avere un ruolo da protagonista in politica estera. Se si sceglie di contare meno dell’Ungheria o della Slovacchia nel contesto europeo, non ci si meravigli se poi i Paesi che stanno imponendo la loro leadership a tutta l’Unione ci ignorino. Oggi, il nostro Paese gode ancora di un credito presso alcuni Stati, strategici nello scenario mediterraneo come la Tunisia, l’Egitto e Israele.

Non sarebbe male se Renzi lo facesse pesare nel rapporto con gli alleati. Forse lui non gradirà sentirselo dire ma la scelta migliore sarebbe di allinearsi sulla rotta tracciata da Silvio Berlusconi in occasione del suo ultimo incontro con Vladimir Putin. Faccia tesoro dell’asso servitogli dal vecchio leone di Arcore: il rapporto preferenziale con la Russia. Aver detto ai media che l’iniziativa bellica francese in Siria è sbagliata può avere un senso se, nel contempo, si inizia un pressing per sostenere la necessità di una coalizione ampia contro il fondamentalismo islamico, che coinvolga Mosca a pieno titolo. Renzi lo dica anche al suo idolo Barack Obama, visto che c’è. Un eventuale accordo Usa-Federazione Russa sulla crisi siriana darebbe ragione alla politica di coesione trans-occidentale praticata nel passato decennio dall’Italia. Prenda il premier italiano l’iniziativa di sostenere il dialogo anche a dispetto delle rigidità e delle miopie dei capibastone dell’Ue.

C’è da dire, a nostro vantaggio, che i vertici europei dai quali siamo puntualmente esclusi si concludono quasi sempre con un nulla di fatto. Gli egoismi delle potenze continentali sono troppo forti perché si riesca a confluire su una linea di condotta comune. È la debolezza di questa Europa che non sa procedere se non in ordine sparso sulle questioni di sostanza. Soltanto se il nostro Paese riuscirà a riprendersi un po’ di libertà di manovra potrà sperare di contare qualcosa al momento delle scelte decisive. Sull’Ucraina siamo stati colpevolmente proni agli interessi combinati dei Paesi occidentali. Ne abbiamo pagato il conto salato senza vederne i benefici. Sulla Siria, e sulla Libia, questo errore non deve essere ripetuto. Dalle fila della maggioranza si continua a cantilenare il mantra del “più Europa”. Ma l’utopia degli Stati Uniti d’Europa non può funzionare da toppa ai disastri compiuti dai singoli partner in politica estera.

In linea di principio non sarebbe sbagliato invocare maggiore integrazione politica, ma ora è quanto meno inopportuno affidarsi alle dichiarazioni di principio. Più importante è tamponare le falle aperte nello scafo europeo dall’avventurismo geopolitico di Berlino e Parigi. A partire dal contrasto al terrorismo internazionale che, in assenza di risposte unitarie, sta dilagando. Ora è il momento di dire basta agli autoproclamati timonieri continentali. La politica estera europea la si fa insieme, alla pari, o non la si fa. Ma avrà il pavido Renzi la forza per uno scatto di lucido orgoglio?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17