
Romano Prodi, che si lamenta dell’esclusione dell’Italia dal vertice tra Francia, Gran Bretagna e Germania sui rifugiati provenienti dalla Siria e dichiara che l’esclusione è la conferma del fatto che il nostro Paese non conta nulla in Europa. Giorgio Napolitano, che critica la decisione di Paesi dell’Est di votare contro l’accoglienza dei migranti in fuga dal Medio Oriente e rileva come sia stato frettoloso a suo tempo l’allargamento della Ue ai Paesi del vecchio blocco comunista rivelatisi ora nazionalisti e per nulla convinti dei cosiddetti valori fondanti dell’Unione europea.
Non stupisce il comportamento di Prodi e Napolitano. Il loro europeismo critico di oggi è in piena continuità con quello totalmente acritico manifestato con grande enfasi nelle lunghe fasi in cui il primo ha avuto responsabilità di governo ed il secondo ha svolto le funzioni di Presidente della Repubblica e di tutore supremo della politica italiana. Questa continuità è data dalla comune pretesa di infallibilità. Si sentiva infallibile Prodi, quando fremeva per l’allargamento all’Est senza minimamente considerare i problemi che l’accelerazione eccessiva del processo avrebbe fatalmente comportato. E si sentiva altrettanto infallibile Napolitano quando, da presidente della Repubblica convertitosi dall’internazionalismo comunista della giovinezza e della maturità all’internazionalismo europeista dell’età avanzata, predicava l’assoluta necessità di procedere senza sosta e senza alcuna riflessione critica e realistica lungo la strada dell’integrazione più rapida possibile perseguita dalla vocazione tedesca alla conquista dell’egemonia ad Est.
Ora Prodi si lamenta dell’assenza di peso dell’Italia rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna e non si rende minimamente conto che la responsabilità di questo inquietante accidente non ricade solo sul governo attuale ma anche e soprattutto sulle sue spalle di artefice acritico dell’Europa ad egemonia germanica. E lo stesso capita a Napolitano. Che contesta i nazionalismi dei Paesi dell’Est e si pente dell’allargamento troppo rapido della Ue, ma si dimentica di essersi sempre battuto non solo per stringere i tempi del processo ma anche perché l’operazione e la guida della Europa allargata fosse sempre e comunque nella mani di Berlino e di Parigi.
La continuità tra l’europeismo acritico e quello critico di Prodi e Napolitano è, in sostanza, la loro convinzione che il compito dell’Italia nel terzo millennio sia di cedere progressivamente la propria sovranità non agli Stati Uniti d’Europa, realtà politica al momento inesistente, ma al paese a più forte vocazione egemonica del Vecchio Continente.
Il cattolico adulto Prodi farebbe bene a recitare l’atto di dolore per questo errore e l’ex comunista Napolitano a compiere una sana autocritica. Entrambi, infine, se rinunciassero a pontificare farebbero un piacere a tutti!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14