
Silvio Berlusconi chiama i moderati alla crociata per la democrazia. Ce la farà il leader del centrodestra in quella che appare l’ultima versione della fatica di Sisifo? Berlusconi punta in alto facendo affidamento sulla conciliazione di due termini: “moderati” e “crociata”, che è complicato tenere assieme nella stessa frase. Per indole, questa categoria del “sociale” non è la più adatta a intestarsi propositi di lotta. Gode del proprio status e non ambisce a metterlo in discussione, neppure in nome di un più alto principio ideale. Per dirla tutta: ai moderati non frega niente di sconvolgere il mondo. Vogliono tenersi quello che hanno e, da qualche tempo, in Italia hanno trovato un leader, benché chiacchierone, che questa certezza promette di dargliela.
D’altro canto, se i sondaggi sulla fiducia degli italiani nei leader di partito danno avanti Matteo Renzi una ragione ci sarà. Qualcuno deve aver pur risposto positivamente alla domanda sull’operato dell’attuale governo. Sappiamo che non sono stati i vecchi compagni della sinistra che ce l’hanno a morte col giovanotto simil-Blair; non sono stati i sindacati che lo vedono come fumo negli occhi da quando li ha messi nel mirino della sua politica di rottamazione; non sono stati i precari della scuola, storico serbatoio di voti facili per la sinistra, che ancora smadonnano al solo pensiero del “piattino” dei trasferimenti forzosi che la ministra Giannini gli ha servito con la riforma. Allora chi se non quella platea silenziosa che sposta impercettibilmente il proprio asse a destra o a sinistra secondo convenienza? Pubblici dipendenti, accorsati professionisti, spregiudicati operatori finanziari e imprenditori legati al mondo confindustriale a cui lo spigliato premier, che fa il bullo in casa e lo scolaretto obbediente in Europa, tutto sommato non dispiace.
Ora, Berlusconi vorrebbe che questa massa di appagati indossasse la panoplia al grido di “buttiamolo giù”? Francamente abbiamo qualche dubbio perché ogni qualvolta abbiamo pensato che stessero per mettersi in cammino loro, i moderati, ritenevano di essere arrivati. Come altrimenti spiegare le tante volte, negli ultimi vent’anni, nelle quali il vecchio leone di Arcore, osannato a parole, è stato lasciato solo come l’ultimo dei moicani in circolazione? Dov’erano i moderati quando in Senato si consumava la barbarie della cacciata del leader dell’opposizione? Non diciamo una rivolta, ma neanche uno straccio di manifestazione per contestare gli usurpatori. Attenzione presidente! Non ci conti troppo sulla loro fedeltà. Come ha scritto Abel Bonnard in un magistrale affresco sulla categoria – lui si riferiva ai moderati nella Francia tra le due guerre mondiali: “Un moderato è un uomo che si rassegna benissimo a non avere ambizioni per il suo partito, ma che ne conserva per sé di vivissime”. Se proprio le va di scendere in campo a menare fendenti si scelga l’esercito giusto. C’è un popolo di delusi, di espropriati dei loro averi da questa crisi micidiale, che l’attende. È parte di quel ceto medio che è stato il blocco sociale sul quale il centrodestra ha costruito le proprie vittorie. Oggi quegli uomini e quelle donne sono in difficoltà, tartassati e impoveriti dalle scelte improvvide di questo governo. Se un tempo anche loro potevano dirsi moderati, certamente non lo sono più. Al contrario, sono incazzatissimi.
Se si vuole combattere una crociata è bene che lo faccia chi ha il coraggio di fronteggiare senza timore l’avversario e non chi pensa che il miglior mezzo per disarmare il nemico sia di abbracciarlo. Magari combinando sottobanco patti scellerati. La lezione che viene dai “Cinque Stelle” di Grillo e dalla Lega di Salvini dovrebbe pur insegnare qualcosa. Occorre soltanto fare quattro passi per le strade giuste di Roma come di Napoli o di Reggio Calabria e, vedendo come vive la maggioranza della popolazione, tutto le sarà più chiaro.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 17:45