
Sotto la copertura della poderosa arma di distrazione di massa rappresentata dalla riforma del Senato, il Governo dei miracoli si affida alle faticose giravolte del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per tacitare i molti mal di pancia comunitari circa l’improvvisa svolta renziana sul taglio dell’Imu sulla prima casa.
Come se non bastasse, è da poco pervenuta l’ennesima bacchettata della Bce di Mario Draghi, con la quale si “consiglia” l’Esecutivo di utilizzare i quattrini risparmiati in virtù del crollo dei tassi d’interesse per ridurre deficit e debito, evitando altre campagne elettoralistiche a base di nuova spesa pubblica. Ma oramai, giunti a metà del guado dell’attuale legislatura, è più che scontato che la linea scelta sin dall’inizio da Matteo Renzi non potrà più subire modifiche significative. Anzi, vista l’affannosa ricerca del consenso perduto - così come riportano tutti i maggiori istituti demoscopici - ci dobbiamo aspettare un rilancio delle sue scoppiettanti campagne di promesse a buon mercato, caratterizzate da partite di giro fiscali, aumenti occulti della tassazione e nuove spese prive di una effettiva copertura, costringendo il povero Padoan ad inventarsi i più ingegnosi trucchetti per mascherare un deficit pubblico sempre più incontenibile.
D’altro canto, come mi trovo a ripetere da tempo, il giovane machiavello al potere avrebbe potuto sin dall’inizio della sua investitura, favorito in questo da un consenso trasversale senza precedenti, spiegare al popolo le vere condizioni di un Paese che viaggia perennemente sull’orlo del baratro economico e finanziario. Da qui adottare una linea politica, così come stanno facendo da tempo i partner Nordeuropei, che privilegiasse la produzione di ricchezza a scapito di quell’eccesso di redistribuzione che fa tanto consenso ma ben poca crescita.
Ovviamente, scegliere una strategia che punti con gradualità a ridurre l’intervento pubblico, dunque la spesa corrente, con l’unico scopo di abbassare le tasse, comporta un alto rischio sul piano elettorale, scommettendo sui tempi più lunghi di una ripresa strutturale. Roba da statisti, insomma. Ma così non sono andate le cose. Avendo perso un anno e mezzo a raccontare favole ed a raschiare il fondo del barile di un sistema politico-burocratico che intermedia un folle 55 per cento del reddito nazionale, oramai è troppo tardi per cambiare rotta; ammesso e concesso che il Presidente del Consiglio abbia le capacità e la visione per poterlo fare. Rien ne va plus, les jeux sont faits.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14