Renzi tra immigrazione  e provincialismo

È stata una buona battuta quella pronunciata nelle settimane scorse da Matteo Renzi quando ha sostenuto che di fronte al gigantesco fenomeno della migrazione di massa dal Medio Oriente e dall’Africa, l’Europa non deve solo commuoversi ma deve anche muoversi. Peccato però che dopo aver offerto l’ennesimo esempio della sua capacità lessicale figlia non solo della conoscenza del marketing politico ma anche della prontezza di lingua della tradizione toscana, il nostro Presidente del Consiglio non abbia fornito alcuna indicazione su come e quando l’Europa dovrebbe muoversi.

Può essere che la fase della commozione sia difficile da superare visto che ogni giorno le immagini della disperazione dei migranti invadono le case degli europei e degli italiani. Ma da chi ha giustamente sostenuto la necessità di non limitarsi alla compassione ma di iniziare a muoversi per dare risposte concrete al problema dovrebbe essere conseguente con le proprie affermazioni ed avanzare proposte concrete su come e quando “muoversi”. Invece tutto tace a Palazzo Chigi su questo tema. Ogni Paese europeo, a cominciare dalla Germania che dopo aver spalancato le porte all’immigrazione le ha rapidamente richiuse, compie autonomamente atti per affrontare gli aspetti del problema che li riguardano direttamente. Il nostro, invece, tace, non si muove e sembra deciso a rimanere silente ed immobile almeno fino a quando l’Unione europea non avrà risolto la questione delle quote.

Nessuno pretende da Palazzo Chigi gesti audaci o temerari. Ma tra l’avventurismo e l’immobilismo un punto di equilibrio ci dovrebbe pur essere. E se questo punto diventa la speranza che l’avvento dell’autunno e delle peggiori condizioni del mare possano frenare i flussi dei barconi verso le coste siciliane e del resto del Meridione il timore che dietro le belle parole ci sia solo un bel nulla diventa forte ed inquietante. È comprensibile che un toscano con un Dna segnato dalla memoria delle lotte fratricide possa pensare che l’azione politica debba esaurirsi nel tentativo di asfaltare i dissidenti interni. Ma i problemi attuali non hanno dimensioni domestiche. E per affrontarsi è indispensabile meno provincialismo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10