
Il direttore de “Il Tempo”, Gian Marco Chiocci, mi ha chiesto di scrivere per il suo quotidiano un commento sulle polemiche scoppiate per la presenza dei Casamonica alla puntata di martedì scorso di “Porta a Porta”. Pubblico quel commento su “L’Opinione” per ribadire dei concetti che considero una sorta di linee guida per la mia futura attività nel Consiglio di Amministrazione della Rai.
Ci sono tre aspetti nella vicenda della polemica sulla presenza dei Casamonica a “Porta a Porta” che meritano di essere sottolineati. Il primo è che la decisione di Bruno Vespa di ospitare i parenti del boss defunto è un perfetto esempio di giornalismo di qualità. Paragonabile all’intervista di Enzo Biagi a Tommaso Buscetta. E come ogni esempio di informazione di livello ha ottenuto un innegabile successo di ascolto da parte dei telespettatori.
Il secondo è che solo un’informazione di qualità, affiancata ovviamente dalla realizzazione di un prodotto complessivo di identico livello, legittima la conservazione ed il potenziamento del servizio pubblico. E questa considerazione dovrebbe diventare una sorta di stella polare per chi ha la responsabilità di guida dell’azienda radiotelevisiva pubblica. Chi paga il canone ha il diritto di avere un servizio non scadente. E questo servizio può essere assicurato offrendo ai cittadini telespettatori un quadro completo e senza remore della società italiana, sia negli aspetti positivi che in quelli negativi.
Ma accanto a questi primi due aspetti ce n’è un terzo che è sicuramente il più importante di tutti. Quello che riguarda la libertà d’espressione e la sua applicazione nel servizio pubblico radiotelevisivo. Questa libertà deve essere piena e totale. Non può valere per gli “amici” ed essere negata ai “nemici”. Assicurata ai “buoni” ed esclusa ai “reprobi”. Secondo un criterio che non è espressione di un manicheismo tardivo, ma di una cultura tanto politicamente corretta quanto figlia di un’intolleranza tipica degli Stati etici e dittatoriali.
In questa luce la vicenda di “Porta a Porta” è illuminante. Evidenzia come il pluralismo dell’informazione e la libertà d’espressione, che giustificano il servizio pubblico, corrano il rischio di essere compresse e cancellate dalla censura di massa alimentata da una cultura giustizialista e illiberale ed autoritario. Quel forcaiolismo che in questa, così come in molte altre occasioni precedenti, ha trovato un testimone perfetto nel sindaco di Roma Ignazio Marino.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14