Italiani, un popolo di neurolabili?

Gli italiani sono diventati un popolo di neurolabili? Dalla televisione alle scuole, dai giornali all’esercito, in quasi tutti gli accadimenti c’è di mezzo o viene invocato lo psichiatra o lo psicologo e, all’occorrenza, il criminologo.

Delitti a parte, non esiste più problema che nell’opinione comune, alimentata dai media, possa risolversi senza l’ausilio della psicologia e della psichiatria. Nei tempi andati, quando qualcuno aveva un guaio, un turbamento, un’angoscia, si rivolgeva a qualche buon parente o andava dal prete. Uno zio saggio si trovava sempre, come qualche saggio sacerdote. C’è addirittura gente che frequenta tutta una vita lo psicanalista a prezzo di parcelle salate anziché confidarsi gratuitamente con qualche vecchio confessore che in fatto di anima ne sa più del diavolo, se mi passate l’impertinenza. Può darsi che esista, ma non se ne sappia ancora nulla in giro; può essere che ancora non ci sia; è però certo che a breve avremo lo psicologo funerario privato, magari in unico pacchetto, tutto compreso, con le pompe funebri. Sì, un bel laureato, iscritto all’albo professionale, con tutte le carte in regola, insomma, uno che aiuti i familiari del morto ad “elaborare il lutto”, come amano esprimersi.

Che la psicologia e la psichiatria siano scienze, nessuno lo nega. Tanto è vero che hanno generato le parole per designare le loro degenerazioni: lo psicologismo e la psichiatrizzazione. Il primo indica la tendenza a ridurre la filosofia, la storia, l’economia a fenomeni psicologici. La seconda definisce l’esagerazione, arbitraria o illecita, nel considerare le cose di pertinenza della psichiatria. L’indubbia popolarità di queste due branche della conoscenza dipende da diversi fattori. Innanzitutto, mentre l’atomo lo vedono solo gli specialisti dotati di mezzi adeguati, i turbamenti psichici li avvertono tutti. E alle persone che per fortuna non li sentono glieli fanno provare proprio quelli che dovrebbero curarle. Inoltre, l’animo e la mente sono due abissi dove ognuno può addentrarsi e riferirne quello che vuole. Infine la smaterializzazione lessicale dei fenomeni li ha resi evanescenti e li ha circonfusi di un alone al tempo stesso visibile ed oscuro. Un delinquente è un delinquente, in termini morali e legali. Ma se la delinquenza la chiamiamo “devianza”, secondo il gergo di costoro, il crimine perde i connotati e tutti possono dirne ciò che credono. L’asocialità consiste nell’essere insensibile o refrattario alle regole sociali. Però, se al suo posto usiamo la parola “disagio”, ogni arzigogolo interpretativo diventa possibile. L’aspetto forse più grave della questione sta nel fatto che i termini devianza e disagio spostano il fulcro del fenomeno dall’individuo alla società e dunque dalla responsabilità personale alla responsabilità collettiva. Ma quest’ultima non esiste e, se esistesse, significherebbe qualcosa del tutto diversa dalla responsabilità individuale, che è sanzionabile in base al diritto. Inoltre quei termini fanno diventare una malattia molti comportamenti irregolari che sono solo stravaganti o inusuali o semplicemente ordinari difetti naturali. Come si è divertito a spiegare Giorgio Israel mettendo alla berlina l’approccio “curativo” alle irregolarità nelle funzioni organiche, possono aversi disturbi esilaranti: “La discalculia è un disturbo che si manifesta con la difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri. La disgrafia è la difficoltà di realizzazione grafica. La disortografia sarebbe la difficoltà, nei processi linguistici di transcodifica” (Giorgio Israel, Il Foglio, 29 aprile 2010, pagina 2).

Dopo devianza e disagio la terza parola magica è dunque “disturbo”. I disturbi del genere sono raggruppati sotto l’acronimo Dsa, disturbi specifici di apprendimento, che forse saranno riconosciuti dalla legge come malattie, sebbene in soggetti sani. “Insomma è una sindrome in stato di normalità ma che dà problemi - rileva Israel - Ma allora tanto varrebbe introdurre acronimi, definizioni e leggi che definiscano o curino la pigrizia, l’obesità, la logorrea, la miopia, la petulanza, la distrazione e via dicendo. Ma nella legge c’è la contraddizione, vi si dice difatti che la diagnosi di Dsa viene effettuata dagli specialisti del Servizio Sanitario Nazionale, ovvero medici, psichiatri, psicologi. E poiché il SSN cura le malattie, rispunta surrettiziamente la definizione del Dsa come patologia. E che sia una patologia è confermato dal fatto che la discalculia non viene diagnosticata dall’insegnante di matematica, o la disortografia da quello d’italiano, bensì da medici, psicologi e psichiatri”.

Sempre Israel ricorda che i fautori della legge calcolano nel 3-5 per cento i bambini affetti da Sda e prevedono meno impegni per gli scolari e più facilitazioni per i genitori. Sono cifre e conseguenze imponenti, tali da sconvolgere una nazione. E non è tutto. Esisterebbero pure i bimbi afflitti da Attention Deficit Hyperactivity Disorder (Adhd), la “sindrome del bambino agitato”, una fisima tutta americana avallata dall’associazione dei loro psichiatri, che è servita ad ingrassare le loro parcelle, ad imbottire di tranquillanti quei poveri marmocchi a tutto vantaggio dell’industria farmaceutica, a sollevare i genitori dai fastidi arrecati da fanciullini vivaci. La maleducazione dei piccoli è diventata malattia. Conclude Israel, con parole da meditare e incorniciare: “È finita. L’educazione è un processo in via di sparizione, quanto meno nel senso di un rapporto tra persone. Esiste soltanto la diagnosi e la terapia delle anomalie di individui-monadi. Tutto è ridotto a processi biologici. Siamo un aggregato di diversità da trattare in termini sanitari, da conformare a criteri di normalità definiti secondo criteri scientifici, si fa per dire. La società è vista come una gigantesca clinica che ha come missione la modellazione degli individui su quei criteri… tutto sotto la dittatura sempre più soffocante degli esperti, psicologi, psichiatri e misuratori delle qualità”.

Un tale delirio richiama alla mente la massima di Churchill secondo cui Experts should be on tap but never on top (Winston Churchill, Quotations, Norwich, U.K. 1997 pagina 40). Gli esperti dovrebbero essere a disposizione ma giammai al vertice. Invece al giorno d’oggi accade il contrario, anche quando un’elementare evidenza dimostra che sono esperti del nulla e somigliano a imbonitori in cerca di potere, influenza, e soldi.

Nel divertente libro “Un italiano in America”, Beppe Severgnini scrive che gli Americani considerano malattia mentale il Disorder of Written Expression (“disturbo dell’espressione scritta”), caratterizzato da “uso scadente della punteggiatura, uso trasandato dei paragrafi, errori grammaticali e cattiva grafia”. Questa sindrome psichiatrica sembra la descrizione di alcuni difetti, neppure i più importanti, delle leggi italiane. Forse anche spiega perché i nostri legislatori chiusero i manicomi. Non è un’esagerazione. In una legge fu trovato persino un “eccetera”! Nella Camera dei deputati esiste il “Comitato per la legislazione”, dai connotati stravaganti fino alla comicità, e completamente inutile stando ai risultati. Somiglia ad un incrocio tra la maestrina elementare, l’accademico della Crusca, il consulente legale, il segretario galante. Esprime pareri “sulla qualità dei testi legislativi”. Lo compongono otto deputati: quattro di maggioranza, quattro d’opposizione, come se la grammatica, la chiarezza, la logica, la correttezza potessero essere messe in votazione. Senza contare che, in base alla procedura parlamentare, a parità di voti ogni proposta è respinta. Quanto ad utilità, ricorda da vicino quel “Consiglio degli assaggiatori di tè” che dal 1897 negli Usa dovrebbe preservare la qualità delle foglie importate.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11