
Con la nomina di Arturo Diaconale nel Consiglio di Amministrazione della Rai si spera, tra le altre cose, che la sua ben nota sensibilità garantista possa portare un valido contributo in un panorama televisivo dominato da una deriva mediatico-giudiziaria rigorosamente colpevolista a prescindere.
D’altro canto, il garantismo non rappresenta affatto una antitesi ad ogni forma di colpevolismo. Il garantismo dovrebbe essere un presupposto di chiunque appartenga ad una società che si considera evoluta, da cui discendono tutta una serie di princìpi, tra cui quello della non colpevolezza fino a prova contraria, che ci allontanano dai secoli bui dell’umanità, nei quali il pregiudizio e la superstizione spadroneggiavano nelle aule di giustizia.
Pregiudizio e superstizione che, tuttavia, dominano l’orientamento dell’informazione televisiva che si occupa di casi giudiziari. Anche nel servizio pubblico, dal quale ci si aspetterebbe un maggiore equilibrio da questo punto di vista, i vari talk-show vedono la presenza quasi schiacciante di esperti e pseudo-esperti rigorosamente schierati con le tesi della pubblica accusa, che nel giusto processo rappresenta solo una parte in causa e non una sorta di giudice preliminare.
Assai scarsi, al contrario, i sostenitori di una linea garantista la quale, ribadiamo, non si contrappone al colpevolismo dominante con un innocentismo altrettanto ottuso. Tra questi merita una citazione particolare il criminologo Natale Fusaro, il quale si trova spesso a competere coraggiosamente con una schiacciante maggioranza di “esperti” colpevolisti che sostengono le tesi più suggestive. Ciò è accaduto nella puntata di mercoledì scorso de “L’estate in diretta”, programma pomeridiano di Rai 1 condotto da Eleonora Daniele e Salvo Sottile. Ebbene, trattando il controverso caso della morte della povera Elena Ceste, il professor Fusaro ha ingaggiato un vero e proprio corpo a corpo dialettico con alcuni personaggi i quali, sulla base della solita montagna di congetture che si creano in questa sorta di processi mediatici, stavano cercando di far passare, di fronte a milioni di telespettatori, l’impostazione medioevale del cosiddetto delitto d’autore. Impostazione che, così come lo stesso Fusaro ha precisato, il nostro Codice di procedura penale vieta categoricamente. In sostanza, in un caso in cui nulla è certo, neppure il motivo del decesso, si voleva stabilire la colpevolezza dell’unico imputato, il marito Michele Buoninconti, sulla base di un profilo caratteriale desunto dalle succitate congetture mediatiche.
Ciò, al pari di tante altre sconcertanti vicende, rischia di produrre conseguenze molto nefaste, orientando in modo distorto la pubblica opinione, e conseguentemente anche chi sarà poi chiamato a giudicare nei tribunali. Ed è proprio per questo che noi inguaribili liberali, garantisti per convinzione, ci auspichiamo che almeno al livello di servizio pubblico l’informazione e l’approfondimento dei casi giudiziari vengano maggiormente riequilibrati. Da questo punto di vista, i diritti degli imputati per un giusto processo non possono essere sacrificati sull’altare degli ascolti.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:22