
È di domenica sera una pessima notizia: 4 italiani sono stati rapiti in Libia. Si tratta di lavoratori della società di costruzioni Bonatti di Parma. I nostri connazionali sarebbero stati sequestrati nei pressi del Compound dell’Eni a Mellitah, nel nord-ovest della Libia. Al momento in cui scriviamo non si conosce l’identità del gruppo di criminali che ha compiuto il rapimento. Tutte le ipotesi sono sul tappeto visto che nella zona sono presenti milizie fedeli al governo islamista illegittimo di Tripoli, bande di predoni locali e frange di combattenti dell’Is, la temibile organizzazione dello Stato islamico.
L’unità di crisi del ministero degli Esteri e l’intelligence sono al lavoro per capire come muoversi nei prossimi giorni. Soprattutto, cosa più importante, c’è da individuare rapidamente i possibili intermediari con i quali impostare la trattativa per il rilascio dei sequestrati. È indubbio che il primo obiettivo debba essere quello di riportare a casa, sani e salvi, gli italiani rapiti. Ogni polemica in questo momento sarebbe quanto mai inopportuna. Tuttavia, non possiamo fare a meno di notare che l’ennesimo atto criminale contro nostri connazionali si sia consumato in un’area strategica per gli interessi energetici dell’Italia.
A Mellitah c’è la stazione di compressione dell’Eni, comproprietaria degli impianti petroliferi della Mellitah Oil and Gas, che, sebbene a scartamento ridotto, continua a pompare gas destinato al terminal di ricevimento di Gela, in Sicilia. Se si chiudessero i rubinetti del Greenstream per l’Italia sarebbe un danno rilevante. Al governo lo sanno bene tanto che, lo scorso marzo, il ministero della Difesa aveva approntato, nell’ambito dell’operazione navale denominata “Mare Aperto”, un piano d’intervento con l’impiego di fucilieri del “San Marco” e incursori del Comsubin, per mettere in sicurezza il complesso petrolifero. Soltanto l’incapacità di Renzi a prendere decisioni concludenti ha impedito che si passasse all’azione e ora, per l’ennesima volta, si pagano le conseguenze di quell’inane titubanza. Guerra o non guerra, dovrebbe valere sempre una regola aurea: gli interessi strategici italiani vanno difesi in qualsiasi circostanza.
Senza bisogno di attendere gli altrui permessi: dall’Onu, dalla Ue, dalla Nato, dall’esercito della salvezza, dalla signora Laura Boldrini e dalla sua variopinta combriccola di pacifisti. Come al tempo della partecipazione italiana alla missione antipirateria Nato “Ocean Shield” vennero imbarcati i militari sulle navi mercantili battenti bandiera italiana, analogamente il complesso petrolifero di Mellitah avrebbe dovuto essere presidiato dalla nostra forza armata con lo scopo di proteggere gli impianti e l’incolumità dei lavoratori italiani impegnati in loco.
Ciò che fa specie nella vicenda, ancora una volta, è la pochezza di un Governo che ammette nei fatti l’inconsistenza del proprio peso politico internazionale. Lo prova il laconico comunicato della Farnesina quando recita: “Come noto in seguito alla chiusura dell’ambasciata d’Italia in Libia il 15 febbraio, la Farnesina aveva segnalato la situazione di estrema difficoltà del Paese invitando tutti i connazionali a lasciare la Libia”. Ciò cosa vuol significare? Che lì i nostri connazionali non ci dovevano stare? I sequestrati erano in Libia per diporto o per contribuire a difendere gli interessi economici del nostro Paese? Non sarebbe più appropriato chiedersi se possiamo continuare a tenere italiani in zone pericolose privandoli di adeguata protezione? Un Governo serio, all’altezza del compito assegnatogli dal popolo, avrebbe saputo fornire la risposta giusta. Che è la stessa che la maggioranza degli italiani attende da anni.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17