
Il parlamento greco ha votato il pacchetto di riforme chieste dall’eurogruppo come “condicio sine qua non” per avviare un negoziato sugli aiuti finanziari al Paese. Non lo ha fatto con il sorriso sulle labbra. Al contrario, il senso di frustrazione era palpabile nelle parole e nei volti dei protagonisti. Alexis Tsipras, nel suo drammatico discorso, ha dovuto riconoscere che, con le nuove misure recessive imposte da Bruxelles, l’economia ellenica verrà ulteriormente depressa. Ma, come egli stesso ha onestamente riconosciuto, si trattava di bere o affogare e lui ha preferito ingurgitare veleno dall’amaro calice piuttosto che vedere il giorno dopo il suo Paese annegare nel disastro economico e nella disperazione sociale.
Di là dalla propaganda, i fatti parlano chiaro: il premier greco si è piegato alla volontà dei potenti. Ha issato bandiera bianca sul pennone dell’Acropoli. Probabilmente questa resa porterà anche alla fine della sua esperienza di governo perché, nell’ora del dramma, non tutto Syriza l’ha seguito. Dei 149 deputati compagni di partito di Tsipras, 40 hanno votato contro. Bruxelles può dirsi soddisfatta per il capolavoro combinato in Grecia. Dalle brutte giornate del negoziato è uscita un’Europa dal volto arcigno ed egoista che ama infierire sui deboli, ben guardandosi dal mettere sotto accusa i forti. Un’Europa del genere è destinata ad avere vita breve. In queste ore abbiamo visto all’opera l’intransigenza tedesca.
Il leitmotiv della coppia Merkel-Schäuble è stato: i patti si rispettano. Perfetto! Chi può dargli torto? Ma viene di pensare che i patti, quando ci sono, vanno rispettati tutti, non solo quelli che fanno comodo. La Germania fa la dura con gli altri, ma è molto indulgente con se stessa. La regola da osservare non riguarda solo il rapporto deficit-pil, quella bizzarra percentuale stabilita a tavolino per la quale ogni anno ci stritolano i maroni a causa degli zero-virgola di sfondamento del 3 per cento consentito. Ce n’è anche un'altra che si chiama Mip (Macroeconomic imbalance procedure), sulla quale però la Germania fa orecchie da mercante. In base alla Mip, il surplus delle partite correnti di uno stato membro – cioè la differenza tra ciò che fattura esportando e ciò che spende importando – non può superare il 6 per cento del Prodotto interno lordo. I cari tedeschi, da dieci anni, sono sopra la soglia consentita e se ne infischiano. In pratica, guadagnano tantissimo vendendo i loro prodotti sul mercato interno europeo ma, nel contempo, comprano pochissimo dagli altri.
Ciò comporta che consistenti volumi di ricchezza vengono sottratti alla circolazione all’interno della comune area valutaria, creando perdita di benessere in danno degli altri partner/competitori. I nani di Bruxelles non hanno mosso un dito per impedire a Berlino di mangiarsi gli altri. Eppure, vorremmo vedere applicato ai capi del “Quarto Reich” lo stesso trattamento che loro hanno riservato ai “piccoli” greci. Ragazzi! È bene esser chiari tra noi. Se si continua di questo passo, con un’oligarchia che divora i popoli più deboli condannandoli alla fame e all’oblio, prima o dopo si finisce male. Non è escluso che ci si prenda a cannonate, così il bel sogno dell’Europa pacificata e prospera, del “mai più guerre tra noi” resterà solo un bello slogan per promuovere il turismo a Ventotene. Si sostiene che per stare meglio gli Stati membri dell’Ue debbano cedere più sovranità. A chi? Alle burocrazie cieche e stupide di Bruxelles o ai fautori del nuovo incubo tedesco? Questo mai e poi mai. Se l’alternativa è diventare sudditi del Reich meglio tenerci la nostra piccola, sgangherata, Italia. Perché? Perché, giusta o sbagliata che sia, l’Italia è nostra madre e nostra storia. È sangue dei nostri padri. È nostra patria e nostra bandiera.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14