Alexis Tsipras, l’ultimo atto

Su Bruxelles in queste ore si aggira uno spettro: la fine di un’idea d’Europa. Per i tifosi del rigorismo dei conti potrebbe anche sembrare questione di dettaglio, ma non lo è. La signora Angela Merkel è giunta alla stretta finale sul negoziato greco con l’intento di prendersi una rivincita meta-economica contro colui che aveva osato sfidarne apertamente l’egemonia.

Ciò che da oggi prende corpo, dopo la no-stop dell’Eurogruppo e del summit dei capi di stato e di governo dell’area euro, è il sospetto che, in sfregio ai princìpi d’indipendenza e sovranità degli Stati, Alexis Tsipras debba lasciare la guida del governo di Atene ad un tecnico in stile Mario Monti in fustanella, diretta emanazione dei vertici europei. I commentatori pro-Merkel interpretano l’evolversi dello scenario come la naturale conseguenza della crisi di fiducia dei creditori nel premier dello Stato ellenico. La realtà è che si è compiuto un altro passo verso la creazione di un’area-cuscinetto, comprendente i Paesi mediterranei dell’Unione. La funzione ancillare di questa “fascia di protezione” dovrebbe consistere nell’ammortizzare tutte le contraddizioni e le negatività che possano costituire ostacolo allo sviluppo del nocciolo vitale dell’Unione collocato nella parte settentrionale del Continente.

In questa logica si spiega la posizione della Ue sull’accoglienza degli immigrati come anche quella d’impedire ai soli Paesi meridionali l’accesso diretto all’approvvigionamento energetico dei prodotti provenienti dalla Russia. Accesso diretto che, invece, per la Germania e i Paesi del Nord avviene regolarmente a dispetto di tutte le pratiche sanzionatorie adottate contro Mosca. La condizione di precarietà strutturale dei Paesi della zona sud genera una disparità, funzionale alla stabilità non soltanto economica ma anche sociale del nord dell’Unione. Un’Europa a due velocità rappresenta un’eccellente opzione per il futuro comunitario osservato dall’angolo visuale delle élites tedesche. Peccato che non c’entri nulla con l’idea primigenia della costruzione di una casa comune dei popoli europei.

Non se ne abbia la signora Merkel ma, se possibile, una volta di più la classe dirigente tedesca ha dimostrato il suo nanismo politico. Lo schema dell’Europa fortezza con il centro propulsore presidiato e le periferie deboli che fungono da zone-cuscinetto non ha funzionato in passato, non funzionerà in avvenire. Oggi, la globalizzazione ha insegnato che non esistono aree che possano ritenersi immuni da qualsiasi tipo di contagio. Aver piegato malamente Tsipras non è un successo per il futuro democratico dell’Unione. È piuttosto come aver scoperchiato il vaso di Pandora dal quale è fuoriuscita la crisi profonda della politica intermediata dai partiti. Nel corso di tutta la crisi greca, le grandi famiglie politiche europee, dei socialisti e dei popolari, di fatto non hanno toccato palla. Non hanno avuto la forza di entrare con idee proprie nel negoziato e ancor meno di elaborare al proprio interno i punti di mediazione sui quali costruire la soluzione al problema greco. Nel migliore dei casi i suoi rappresentanti hanno funzionato da divulgatori delle tesi elaborate dalla leadership tedesca.

In questo desolante scenario europeo si segnala una sola anomalia che merita di essere analizzata: la posizione assunta dal governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi. Sembra, dalle indiscrezioni trapelate, che abbia tentato di contrastare la linea tedesca al punto da litigare con il “falco di Friburgo”, Wolfgang Schäuble. Se fosse vero scopriremmo che l’unico politico di statura emerso dalle notti di Bruxelles sia lui: il tecnico per eccellenza. Che mondo bizzarro è mai quello che si affida a un banchiere per avere ancora la speranza di un sogno nel cassetto?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14