
Gli inquirenti ed i giudici napoletani non conoscono la storia d’Italia. Non conoscono il “connubio” di Cavour, non conoscono De Pretis, non conoscono il fenomeno del “trasformismo”, non conoscono il “giolittismo” e neppure l’avvento del fascismo e la sua caduta. Ma la loro ignoranza non riguarda solo queste vicende antiche. Tocca soprattutto quelle moderne e quelle più recenti. In particolare la nascita e la caduta del governo Prodi dopo le elezioni del 2006, quelle che furono segnate dalla vittoria del centrosinistra per una manciata di voti sul centrodestra e consentirono a Romano Prodi, convinto di avere il Paese in mano con ventimila voti di vantaggio, di formare un governo sostenuto dal voto indispensabile dei senatori a vita e dalla presenza altrettanto indispensabile del “trasformista” Clemente Mastella.
Se gli inquirenti ed i giudici napoletani, gravemente insufficienti in storia fossero stati appena sufficienti in cronaca, avrebbero saputo che la cosiddetta “compravendita” di De Gregorio sarebbe avvenuta nel 2006, mentre la caduta del governo Prodi avvenne nel 2008, che a far mancare i propri voti al “professore” fu Mastella in risposta alle inchieste giudiziarie mosse contro la sua persona e la sua famiglia come smaccato atto di reazione al suo tentativo di riformare la giustizia, che dalla maggioranza di centrosinistra si smarcò anche Lamberto Dini ed il suo partito e che, soprattutto, a liquidare il governo ulivista ci pensò l’allora neosegretario del Pd, Walter Veltroni, deciso a chiudere l’esperienza prodiana ed avviare una fase che agli occhi di oggi apparirebbe pre-renziana.
Si sa che difficilmente la verità processuale coincide con quella reale. Ma nel processo che a Napoli si è concluso con la condanna a tre anni di Silvio Berlusconi non è stata la verità processuale a prevalere su quella reale. È, stata, al contrario la verità del teorema politico portato avanti dalla Procura e fatto proprio dal Tribunale di primo grado ad espellere dall’aula, dove si amministra la giustizia in nome del popolo italiano, la verità reale, storica e politica.
Berlusconi ha affermato che il suo è stato un processo politico che si è concluso con una sentenza politica. E ha perfettamente ragione. Alcuni magistrati napoletani hanno voluto allinearsi a quei colleghi di altre Procure e Tribunali che hanno conquistato visibilità e popolarità attraverso una ventennale azione di persecuzione giudiziaria ai danni del Cavaliere. Che non si dica, come avrebbe detto Totò, che il rito napoletano sia da meno di quello ambrosiano! Il risultato è stato una inchiesta sballata ed una sentenza ridicola. Che confermano da un lato l’esistenza di un disegno politico persecutorio ai danni del leader del centrodestra, disegno che non si è ancora concluso e che riserva nuovi capitoli a Bari ed a Milano, dall’altro l’assoluta necessità di ridare credibilità alla giustizia italiana attraverso una riforma che elimini una volta per tutte la piaga dell’uso politico dell’arma giudiziaria.
Si dirà che questo è un film già visto infinite volte. Ed è vero. Ma quei nemici di Berlusconi che hanno visto il film e continuano a rallegrarsene compiono un clamoroso errore. La giustizia di rito napoletano o ambrosiano che sia può toccare anche loro così come tutti gli italiani, quelli (e sono la stragrande maggioranza) che proprio a causa di un film del genere non si fidano più della giustizia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:09