Gabrielli, Pignatone ed il mostro romano

Pare che ci sia stato un duro scontro al Comitato per l’Ordine e la Sicurezza sull’esistenza della continuità o meno tra l’ex Giunta Alemanno e l’attuale guidata da Marino della contaminazione mafiosa all’interno del Comune di Roma. Ma pare che alla fine abbia prevalso la linea del Prefetto Franco Gabrielli e del Procuratore Giuseppe Pignatone che sostiene la discontinuità tra le due amministrazioni, che è contraria allo scioglimento per infiltrazione mafiosa e che punta a scaricare solo sui dirigenti e sui funzionari implicati la responsabilità di “Mafia Capitale”.

Una conclusione a sorpresa viste le polemiche di mesi e mesi su Buzzi, Carminati e la loro influenza sul Campidoglio? Nient’affatto. Una conclusione semmai scontata. Perché la ragione politica non avrebbe mai consentito che il Comune di Roma venisse sciolto per mafia alla vigilia del Giubileo indetto dal Papa che predica contro la corruzione. E perché la ragione di partito ha progressivamente portato anche il segretario del Partito democratico, nonché capo del Governo, Matteo Renzi, a frenare la pulsione a cacciare Ignazio Marino dal Campidoglio per manifesta incapacità di governo. Renzi ed il Pd, infatti, ora temono che dalle elezioni anticipate possa venire fuori un sindaco addirittura peggiore e magari grillino.

Gabrielli e Pignatone sono uomini di mondo e hanno indirizzato la discussione del Comitato verso la conclusione più logica e più indolore. Scelta giusta? No. Semmai scelta opportuna. Di cui bisogna prendere atto senza troppo rammarico. Ma con la consapevolezza che si tratta di una toppa necessaria per un buco ancora del tutto inesplorato, un buco rappresentato dal “problema Roma” nel suo complesso. Un problema che domina il Campidoglio dal secondo dopoguerra, quello segnato dall’avvento della Roma dei costruttori (o palazzinari che dir si voglia), e che è rappresentato dalla gestione sempre e comunque consociativa di una struttura comunale divenuta mostruosamente elefantiaca nel corso degli ultimi decenni.

Non si può scaricare su Gabrielli e Pignatone la colpa di essersi occupati della discontinuità vera o presunta tra la gestione Alemanno e quella di Marino e di non aver minimamente affrontato il tema della perenne continuità della consociazione tra politica ed affari che domina la Capitale dall’inizio del secondo dopoguerra. Non era il loro compito. Ma non si può non rilevare come la conclamata (per opportunità politica) discontinuità tra Alemanno e Marino sia solo un aspetto marginale in un contesto dominato da una perenne continuità consociativa tra i poteri reali della Città Eterna.

L’espressione vivente di questa continuità consociativa è la struttura burocratico-clientelare del Comune, i suoi cinquantamila dipendenti, le sue infinite municipalizzate, il reticolo intricato di aziende (società, cooperative ) che dipendono da questa struttura in maniera diretta o indiretta, legale o illegale.

Il caso Buzzi-Carminati delle cooperative sociali nate come fiore all’occhiello della sinistra e capaci di operare proficuamente con ogni amministrazione è solo una parte infinitesimale del problema. E la sanità, l’edilizia, il commercio, la cultura, la formazione e tutto il resto?

Non spetta a Gabrielli e, tutto sommato, non spetta neppure a Pignatone, che pure avrebbe di che indagare su ognuno di questi settori, affrontare un tema che prima di essere giudiziario è squisitamente politico. Spetta dunque alla politica affrontare la questione-Roma. Sapendo che se non si smantella il mostro burocratico-clientelare non si risolve un bel nulla!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:09