
A proposito del “Family day” organizzato a Roma lo scorso sabato, ho sentito pronunciare troppe parole in libertà. L’unica critica alla quale sento di prestare ascolto è quella molto sensata proposta sul nostro giornale da Elena D’Alessandri. L’autrice di “Forme di fanatismo” manifesta il suo profondo disagio per i messaggi, a suo dire deliranti, lanciati dal palco della manifestazione da tale Kiko Arguello (nella foto), promotore di un non meglio identificato “Cammino Neocatecumenale”. Il personaggio, alquanto folkloristico, si sarebbe scagliato contro un’Europa in lotta con il Vangelo. Per Arguello, femminicidi, bambini cresciuti da coppie omosessuali, diminuzione del numero dei battesimi celebrati, sarebbero sintomi di un crescendo apocalittico scaturito da una medesima causa scatenante: la scristianizzazione dell’Occidente.
Arguello spinge oltre le sue tesi giustificazioniste fino a ricomprendervi la violenza tra le mura domestiche spiegata come effetto della perdita dell’amore coniugale della moglie verso il proprio marito. La D’Alessandri si dichiara inorridita per il tenore delle affermazioni di Arguello. E ha ragione di esserlo perché il fanatismo, a qualsiasi latitudine si manifesti, non può che generare orrore. Tuttavia, il pur giusto sentimento di repulsione per tesi aberranti come quelle di Arguello deve interrogarci su qualcosa che, se possibile, è ancora più grande del sacrosanto diritto a desiderare una società affrancata dal fanatismo religioso.
Bisogna chiedersi se, in coscienza, abbiamo la forza di accettare che anche un Arguello qualsiasi, per quanto nauseante, abbia il diritto di manifestare liberamente le proprie idee. In concreto: la nostra attitudine alla libertà di pensiero è sufficientemente matura da reggere l’intolleranza altrui? La domanda potrebbe sembrare banale, se non fosse che un conto è la teoria e un altro la pratica. Dell’esistenza di uno iato tra idea e prassi ha dato prova tangibile il sottosegretario Ivan Scalfarotto il quale, sotto i comodi panni del “liberal” di sinistra, nasconde un animo integralista e illiberale degno della peggiore tradizione comunista. Lui, a proposito del Family day, ha definito la manifestazione “evento inaccettabile”. C’è da chiedersi: se Scalfarotto ne avesse avuto il potere, l’avrebbe vietata? È così che quelli del Partito democratico concepiscono il dissenso?
Comprendo perfettamente il senso di frustrazione che tanti come la D’Alessandri debbano aver provato nell’udire espressioni deliranti, ma l’alternativa non può essere il bavaglio. Se rinunciamo alla libertà di pensiero questa civiltà ha fallito la sua missione. Se tappiamo la bocca a chi dice cose che non ci piacciono, provochiamo un danno irreparabile a noi stessi piuttosto che al nostro interlocutore, rinunciando a essere soggetti agenti nella storia. Chi deciderà allora quali siano le idee sbagliate e quali invece quelle giuste? Già in passato è accaduto che i popoli facessero ricorso all’intermediazione di un potere assoluto che stabilisse ex cathedra ciò che era buono e ciò che era male. Di quei tempi però non si hanno particolari rimpianti. L’unica strada percorribile per evitare che le “fantasie” di Arguello facciano breccia è di sfidarle sul piano del ragionamento in un serrato dibattito culturale. Bisogna confidare nel buon senso delle persone che, stimolate nel verso giusto, sapranno scegliere. Lo hanno già fatto al tempo delle storiche battaglie sul divorzio e sulla legalizzazione dell’aborto.
Ma sopra ogni cosa deve valere l’insegnamento pseudovoltairiano, oggi colpevolmente desueto, sulla difesa a oltranza della libertà di parola: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. In realtà Voltaire non pronunciò mai questa frase. Ma a me piace ugualmente, chiunque l’abbia concepita, perché in essa riconosco lo stigma di un’umanità migliore.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18