
Per Matteo Renzi sarebbe stato troppo pesante tenere aperti due fronti di lotta contemporaneamente, quello contro Ignazio Marino e quello contro Vincenzo De Luca. Così ha deciso di paralizzare il fronte napoletano e tenere aperto quello romano. La scelta di aspettare i pareri di ministri ed Avvocatura dello Stato prima di procedere alla sospensione del neo-eletto Governatore della Campania è diretta a sterilizzare la inevitabile fonte di guai che si sarebbe aperta a carico del Governo se ci fosse stata una sospensione immediata destinata a lasciare senza governo la più grande e popolosa regione del Meridione. Invece, dando tempo a De Luca di insediarsi, di procedere alla formazione della giunta regionale e di far eleggere un vicepresidente destinato a sostituirlo per la durata della sospensione, il fronte campano viene stabilizzato. Si evita il commissariamento, che avrebbe scatenato polemiche e contestazioni di ogni genere, si mette in tranquillità De Luca che da adesso in poi deve frenare le sue smanie di protagonismo ed attendere che l’attività della magistratura faccia il suo corso e, magari, si incomincia a lavorare senza troppe pressioni a quella riforma della Legge Severino che sembra essere l’unica soluzione per evitare nuovi e più gravi conflitti tra consenso elettorale e legalità formale.
In apparenza quella di Renzi è apparsa una scelta di buon senso. Nella realtà è una conferma dello stato di debolezza in cui si è venuto a trovare dopo le elezioni regionali. Il Renzi rampante della fase 1 avrebbe fatto come Cesare ad Alesia dando battaglia su tutti i fronti aperti, certo di poter vincere sempre e comunque grazie al consenso plebiscitario in suo possesso. Il Premier versione 2, versione da cui non riesce e non può uscire, non si può permettere la guerra su più fronti e deve stare molto attento anche a non compiere errori sul primo fronte, quello romano, dove Marino ha scelto la linea della difesa ad oltranza dentro il bunker del Campidoglio.
Ma mostrare debolezza comporta nuova debolezza. E questo si traduce nella perdita della iniziativa politica da parte del Presidente del Consiglio. Da adesso in poi non potrà più tenere sotto scacco i suoi avversari con la minaccia del voto anticipato. Dovrà, come ha fatto con il caso De Luca, prendere tempo per allungare al massimo la legislatura. Perché le elezioni regionali hanno dimostrato che la sua presunta imbattibilità è una favola. E trattare significa ridiscutere la legge elettorale e quella della riforma istituzionale alle condizioni poste dagli avversari, primi fra tutti Berlusconi e Salvini!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10