Obama ordina: salvate il soldato Tsipras

Da Washington è giunto un ordine perentorio agli alleati europei: accontentate la Grecia. Di là dai calcoli ragionieristici degli euroburocrati, la questione del debito pubblico ellenico è divenuta tutta politica. L’averne ribaltato la natura è merito dello scaltro premier, Alexis Tsipras. Ormai il fantasma del fallimento di Atene è roba a cui non crede più nessuno perché, mentre i partner dell’Unione europea si esercitavano a fare la voce grossa con gli indisciplinati greci, Tsipras volava a San Pietroburgo per ottenere da Vladimir Putin l’apertura di una linea di credito presso la nuova banca d’investimenti governata dai russi e dai cinesi. Atene, quindi, non salterà perché se gli europei dovessero insistere con i provvedimenti punitivi potrebbe accadere quel che il presidente Barack Obama teme più della peste: lo spostamento della Grecia nell’area d’influenza del Cremlino.

La difficoltà maggiore la sta vivendo la signora Angela Merkel che si è trovata nell’insolita posizione di brigare per un compromesso piuttosto che salire in cattedra ad impartire lezioni, come invece ama fare. La realtà sarebbe comica se non fosse drammatica. Oggi chi chiede una soluzione onorevole non è il governo greco ma l’Unione europea, che sa di dover cedere alle richieste di Atene ma non vorrebbe darlo a vedere alla comunità internazionale. E non solo. Il timore più grande riguarda il futuro degli altri Paesi membri, soprattutto di quelli della zona meridionale, i quali hanno subìto la dura legge dell’austerity imposta dall’Unione a trazione germanica.

Presto si voterà in Portogallo e in Spagna. Le notizie che giungono da quei Paesi restituiscono uno scenario inquietante per i soloni dell’eurozona. Vi è il rischio concreto di un’affermazione elettorale dei partiti euroscettici che hanno centrato la loro campagna sul rifiuto delle politiche depressive imposte da Bruxelles. Per i candidati filotedeschi sarà difficile convincere le opinioni pubbliche locali provate fortemente dalla crisi che è derivata dalla cieca obbedienza alla signora Merkel, di fronte alla resa collettiva ad Atene.

La domanda che tutti si porranno, in Spagna come in Portogallo e, a seguire, in Francia e in Italia: perché ai greci sì e a noi no? A quel punto l’equilibro interno all’Unione sarà messo in serio pericolo. Intanto, è così che deve andare perché l’insensata politica aggressiva statunitense nei confronti della Federazione Russa prevede un illimitato gioco al rialzo: pur di non concedere spazio all’avversario si aumenta la posta. Tsipras ha capito come funziona il meccanismo e ci si è infilato con spregiudicatezza, ricavandone immediati guadagni. Il Moloch europeo si sta rivelando un cagnetto che abbia ma non morde. A beneficio dei creduloni ancora in circolazione, in settimana si annuncerà che il governo di Atene ha accettato le condizioni imposte da Bruxelles e, per questo, merita fiducia. Ma è una messinscena. Quel che contano sono i fatti. E i fatti dicono che la Bce di Mario Draghi sta pompando liquidità ininterrotta per fronteggiare la crisi del sistema bancario ellenico.

Alla fine della fiera, Tsipras non otterrà la ristrutturazione del debito come vorrebbe, sarebbe troppo anche per i proni alleati di Obama. In compenso, potrà fare affidamento su un piano di rientro spalmato su molti decenni. L’Italia che di miliardi in Grecia ne ha messi parecchi e altri ne dovrà impegnare nel prossimo futuro, si scordi di vederseli restituiti in tempi ragionevoli. Domandiamoci allora perché siamo finiti in questo incubo. La risposta è una soltanto. La Grecia ha trovato il modo di contare nel contesto europeo, e globale, più di quanto valga questa piccola, povera, obbediente, sottomessa italietta renziana. Tsipras docet.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12