
Che le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo abbiano assunto e siano destinate ad assumere sempre di più un ruolo essenziale nel nostro ordinamento giuridico, è un dato di fatto incontestabile. Ne sono prova i numerosi incontri di studio quasi quotidianamente organizzati da associazioni di avvocati, magistrati, dall’accademia. Ne parlano tutti, insomma: e fanno bene, visto che l’incidenza delle disposizioni della convenzione, le norme interposte di cui fa menzione la nostra Corte Costituzionale, impone un’attenzione fino a ieri neppure immaginabile.
E così, leggendo qua e là, capita di imbattersi in articoli e commenti che approfondiscono la questione, aprendo nuovi fronti di discussione e nuovi orizzonti ermeneutici. Le cose sono cambiate e noi dovremmo occuparcene, qui ed ora, anche in prospettiva politica, per conseguire quegli obiettivi che rappresentano la nostra stella polare.
Partiamo da qui. L’articolo 101 della Costituzione dice che i giudici sono soggetti soltanto alla legge; il successivo articolo 111 precisa che contro tutti i provvedimenti giurisdizionali è sempre ammesso ricorso per Cassazione per violazione di legge. Interpretare queste due proposizioni, fino a ieri, è sempre stato relativamente facile: era sufficiente definire correttamente la nozione di legge ed inserirla al centro di un contesto nel quale il dato normativo rappresenta il punto di riferimento ineludibile. La modificazione del concetto di legge, però, cambia un poco le cose. Leggiamo che, oggi, la concezione formalistica di norma è da considerarsi se non del tutto superata, quantomeno corretta dall’impatto di una nomofilachia sovranazionale prodotta da organi che si ispirano a diverse categorie del pensiero giuridico. La commistione di soggetti di diversa provenienza nella Corte Edu genera soluzioni interpretative della Convenzione, la cui ricaduta nel nostro ordinamento, a volte, è addirittura dirompente.
Tutto questo lo sappiamo bene e, aggiungo, lo dobbiamo anche metabolizzare. Ci dobbiamo abituare, per dirla chiaramente. Ma il 101 ed il 111 restano lì, quasi fossero sentinelle di quei controlimiti dei quali, in un prossimo futuro, sentiremo parlare sempre più spesso. La partita dei diritti fondamentali, quelli dell’articolo 6 della Convenzione, quelli della Carta di Lisbona, si giocherà, ancora per un po’ e almeno fino a quando l’Europa della legge comune non avrà vita, sul campo della nostra Costituzione. Arbitro della contesa sarà un giudice che conosciamo da tempo ma, sotto questo profilo, del tutto “nuovo” - la Corte Costituzionale - perché sarà lui a dirci se la normogenesi per via giurisprudenziale sia conforme o no alle regole di gioco, ovvero se le regole debbano essere cambiate. E noi, di questa partita, dovremmo essere parte essenziale.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10