Libia, fermare l’Isis prima che sia tardi

Mentre in Italia si litiga su come accogliere le centinaia di miglia di migranti raccolti in mare dalla nostra Marina militare con l’aiuto di qualche nave europea, in Libia l’Isis continua la sua offensiva e conquista sempre nuovi e più ampi territori.

La faccenda non sembra minimamente toccare le discussioni in corso tra chi vuole l’accoglienza indiscriminata e chi vorrebbe tornare ai respingimenti di una volta. Per gli accoglitori ed i respingitori il problema è solo quello che si pone nel Canale di Sicilia. Quanto avviene in Libia non è di loro competenza. Al massimo potrebbe essere delle Nazioni Unite, se mai il povero mediatore Bernardino Leon riuscisse a far trovare una qualche intesa tra le fazioni in lotta in Tripolitania, in Cirenaica, nel Fezzan ed in ogni altro angolo del vecchio scatolone di sabbia. Ma poiché l’Onu non riesce a combinare alcunché, nessuno sembra porsi la questione di quale accidenti potrebbe avvenire se l’Isis riuscisse a conquistare uno spazio consistente tra Tripoli e Tobruk.

Il disinteresse per quanto avviene sul terreno libico non riguarda solo i dirigenti politici. Anche i militari, che pure dovrebbero per dovere professionale preoccuparsi del peggio, non fanno di meglio. Al massimo, come ha dimostrato recentemente il capo di Stato Maggiore della Marina, si preoccupano solo di chiedere nuovi finanziamenti per acquistare mezzi destinati a raccogliere con maggiore sicurezza e facilità i migranti sui barconi. Come se la funzione delle Forze armate non fosse quella di assicurare la difesa del Paese (parlare di Patria o di Nazione non è politicamente corretto), ma quella di trasformarsi in bagnini di salvataggio.

Eppure, se l’Isis conquista la Libia il problema non è più la raccolta dei migranti in mare. È la difesa delle coste italiane ed europee da una minaccia molto più inquietante e pericolosa della stessa invasione biblica dei disperati sui barconi. Chi pensa che non ci sia altro da fare che attendere questa conclusione scontata della tragedia libica e, nel frattempo, dedicarsi solo all’impegno umanitario, sbaglia di grosso. Perché non si rende conto che consentire all’Isis di diventare una realtà mediterranea significa mettere a repentaglio la pace anche sulla costa settentrionale di questo mare. Fino ad ora l’Europa ed il nostro Governo si sono preoccupati solo di escludere qualsiasi intervento in Libia. Per paura di passare come i nuovi crociati ed i nuovi colonizzatori. Ma questa paura è diventata il propellente che fa espandere l’Isis. E che gli sta consentendo di conquistare l’intera Libia.

Non sembra che l’Europa abbia avuto il timore di essere riaccusata di neocolonialismo quando, con la Francia e la Gran Bretagna in testa, ha scatenato la guerra contro Gheddafi. Perché, ora che si deve reagire ad un pericolo addirittura maggiore di quello rappresentato dal vecchio dittatore, l’Europa non muove un dito? La domanda riguarda direttamente il governo italiano. Perché un conto è raccogliere i migranti, un altro sarebbe fronteggiare una Libia islamizzata e decisa a sfidare l’Italia e l’Europa. Più tardi s’interviene, più il problema s’ingigantisce.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16