
Nel memorabile discorso pronunciato agli studenti dell’Università dell’Arkansas il 18 marzo 1968, pochi mesi prima di essere ucciso, Robert Kennedy, riferendosi all’unità di misurazione universale, disse che il Prodotto interno lordo “non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti tra di noi”. Si sbagliava. Sebbene quelle parole rappresentino un monito di indiscutibile attualità, la proposizione riferita alla giustizia non è corretta o, almeno, non è condivisa da chi ci governa.
Sono anni, ormai, che sentiamo ripetere quanto sia dannosa per la nostra economia - il Pil - la lungaggine dei nostri processi. E sono sempre anni che ci sentiamo dire quale incidenza abbia sull’intero sistema - ancora il Pil - l’incertezza che contrassegna l’esito delle contese giudiziarie. Da molto tempo qualcuno tenta di convincerci di quanto ci costi - in termini di Pil - la dilagante corruzione, assurta a fenomeno endemico del sistema.
Altro che “non tiene conto”! Se ascoltiamo con attenzione le parole di chi si insedia a Palazzo Chigi, non possiamo non riconoscere che la causa dei nostri guai sta tutta nell’amministrazione della giustizia dei tribunali. Mi pare, dunque, evidente che la prima preoccupazione di chi assume la guida del Paese sia quella di riformare la giustizia, sveltendo i processi, eliminando i formalismi inutili e rincarando la dose nei confronti di chi viola la legge.
Fatto questo, va da sé, diventeremo appetibili per gli investimenti stranieri, a nulla rilevando che abbiamo strade da Terzo Mondo, infrastrutture ridicole e una burocrazia che, perdonatemi, nemmeno Bokassa si sarebbe sognato di inventare. D’altra parte, qualche cosa bisogna pur dire agli elettori. La via più semplice è quella, purtroppo, della semplificazione: quella che si traduce in taglio netto delle garanzie (la produzione prima della correttezza delle decisioni, vale a dire il Pil); quella che cancella i termini di prescrizione, così sopperendo alle deficienze funzionali del sistema (il Pil taroccato); quella che ispira i suoi parametri ad una implacabile severità (il Pil ignobile, quello della esclusione e del 41 bis).
Robert Kennedy era americano e, come tale, non aveva capito nulla. Lui pensava che giustizia e benessere economico fossero entità non comparabili: non immaginava che la prima occupasse una posizione ancillare rispetto al secondo. Robert Kennedy si rivolgeva agli studenti di un ateneo, confidando che loro, prossima classe dirigente, non subissero la tentazione di pericolose equiparazioni. Non parlava per proclami e non invocava pene incivili. Parlava di giustizia e non di sistema giudiziario.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15