
Garantista a parole, ma giustizialista nei fatti. Matteo Renzi svela la sua vera natura. Che non è quella di chi celebra l’anniversario della morte di Enzo Tortora e sfida l’ira della categoria dei magistrati riducendo di qualche giorno le loro vacanze o facendo approvare una timida forma di responsabilità civile per le toghe. Ma è quella che lo spinge a varare un provvedimento destinato ad allungare a dismisura i tempi della prescrizione applicando l’aspirazione di ogni convinto giustizialista del “fine processo mai”. O a realizzare una legge che aggrava le fattispecie di falso in bilancio (reato che non è mai stato cancellato dal codice), esponendo al rischio di procedimento giudiziario e di paralisi produttiva qualunque impresa costretta ad “abbellire” i dati dei propri bilanci per poter assolvere le pretese delle varie Basilee imposte dal credito bancario. Infine, è quella che lo consiglia di rincorrere il forcaiolismo più becero imponendo ad un Parlamento imbelle un’inutile legge contro la corruzione. Non è puntando sull’aumento delle pene che si riuscirà mai ad incidere minimamente su un fenomeno risolvibile solo con il progressivo smantellamento degli infiniti centri di spesa di uno Stato burocratico sempre più invasivo e clientelare.
E non basta. Perché la natura di giustizialista Renzi l’ha messa in mostra non solo piegandosi di fatto alle richieste di una riforma della giustizia ritagliata sulle esigenze dei magistrati e non sulle necessità reali dei cittadini. Ma anche nel modo con cui ha reagito alle sentenza della Corte Costituzionale che ha riconosciuto i diritti dei pensionati conculcati a suo tempo dalla nefasta Legge Fornero. In nome delle ragioni dell’emergenza imposte dalla crisi, il Presidente del Consiglio ha calpestato il diritto al salario differito maturato da oltre cinque milioni e mezzo di italiani.
C’è un filo rosso che unisce il “fine processo mai”, la spada di Damocle di una giustizia capricciosa ed imprevedibile sulle aziende, la faccia feroce su una corruzione che di fatto viene lasciata lievitare e l’imbroglio di chiamare “bonus pensionistico” quella che in realtà è una tassa aggiuntiva. È il filo di chi crede che in tempo di crisi sia legittimo e necessario ridurre i diritti e le garanzie dei cittadini. Un filo che non porta alla democrazia decisionale invocata da Renzi, ma a quella autoritaria destinata a scivolare sempre nel regime dell’arbitrio e dell’oppressione.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18