
Onorevoli Senatori,
i problemi del sistema giudiziario italiano sono annosi e strutturali. Le nostre carceri e, più in generale, la non-amministrazione della giustizia, costituiscono ormai la prima e principale questione sociale ed economica del nostro Paese. Per tale questione lo Stato italiano è condannato dalla giustizia europea, ogni anno e per centinaia di volte negli ultimi vent’anni, per violazione di diritti umani fondamentali.
Il Consiglio d’Europa, che giudica il sistema italiano tra i peggiori del Continente, il 17 ottobre 2009 ha approvato una risoluzione ultimatum nella quale si invita il nostro Stato ad esibire “risultati concreti o piano d’azione realistici” per risolvere le gravi carenze strutturali della giustizia, i cui ritardi causano violazioni ripetitive dei diritti umani e costituiscono una seria minaccia al principio dello Stato di diritto. In particolare, le critiche di Strasburgo mettono in evidenza un grave ritardo nelle procedure che violano l’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (che prevede il diritto ad un processo equo) e nella mancata esecuzione di un migliaio di sentenze di risarcimento danni pronunciate contro il nostro Paese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Con i decreti del Presidente della Repubblica n. 75 e n. 394 (concessione di amnistia e concessione di indulto) del 1990 furono circa 13mila i detenuti che uscirono dal carcere. Con la legge 207/2003 fu approvato un provvedimento di clemenza, il cosiddetto “indultino”, che concesse uno sconto di pena di due anni per chi avesse già trascorso in carcere almeno metà della pena. Nel 2006 il Parlamento approvò, con un’ampia maggioranza trasversale, la legge 241 che introdusse un provvedimento di indulto per i reati commessi fino al 2 maggio dello stesso anno. In particolare, è stato concesso un indulto non superiore ai tre anni per le pene detentive e fino a 10mila euro per le pene pecuniarie. Escludendo dal beneficio i reati in materia di terrorismo (compresa l’associazione eversiva), strage, banda armata, schiavitù, prostituzione minorile, pedo-pornografia, tratta di persone, violenza sessuale, sequestro di persona, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, usura e quelli concernenti la mafia.
Il problema delle carceri, purtroppo, non è stato mai risolto, già nell’audizione del 2008 alla Camera dei deputati l’allora ministro Angelino Alfano fotografava in modo preciso la realtà delle carceri italiane, sottolineando che il 50 per cento di esse dovrebbero essere chiuse perché vetuste, che il 20 per cento è stato realizzato tra il 1200 e il 1500, mentre il restante 30 per cento è risalente alla fine dell’Ottocento.
Secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) al 31 ottobre 2013, i detenuti reclusi sono 64.323 (compresi nel totale dei detenuti anche quelli in semilibertà) nei 205 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 47.668 posti. Un terzo, ossia 22.770, sono i detenuti non italiani (che rappresentano il 35,1 per cento della popolazione carceraria). Minima è la componente femminile, il 4,3 per cento del totale dei detenuti, ovvero 2.821 donne (di cui 1.102 straniere). Al 30 giugno 2013, sono 52 i bambini sotto i 3 anni che vivono in carcere con le madri (51 detenute).
Chi come me ha a cuore il problema della sicurezza sociale non può ritenere l’amnistia e l’indulto contraddittori con l’attenzione ai problemi di sicurezza. Investire sul recupero e sulla prevenzione è la vera politica per la sicurezza, una politica meno costosa socialmente, umanamente ed economicamente. Tenere una persona in carcere, nelle attuali condizioni miserevoli e spesso illegali, costa allo Stato circa 63.875 euro l’anno. Grave ed intollerabile è anche la situazione degli altri soggetti che “risiedono” nelle strutture carcerarie, gli operatori pubblici dell’amministrazione, per primi gli agenti della polizia penitenziaria. L’immensa gravità della realtà sociale e questi dati sull’amministrazione della giustizia ci dicono che non è più morale, e soprattutto legale, subire inerti questa tragedia.
In questo contesto, la concessione dell’amnistia e dell’indulto non è un atto di clemenza, ma innanzitutto un atto volto al ripristino della legalità e al buon governo dell’amministrazione della giustizia e del carcere; è una risposta a una situazione di emergenza che rischia di divenire irreversibile e di tramutarsi in catastrofe vera e propria.
Occorre varare la più straordinaria, forte, ampia, decisa e rapida delle amnistie che la Repubblica Italiana abbia conosciuto dalla sua nascita, per ridurre immediatamente di almeno un terzo il carico processuale dell’amministrazione della giustizia, affinché essa, liberata dai processi meno gravi, possa proficuamente impegnarsi a concludere quelli più gravi. È necessario un indulto, di almeno due anni, che possa sgravare di un terzo il carico umano che soffre – in tutte le sue componenti: i detenuti, il personale amministrativo e di custodia – la condizione disastrosa delle carceri.
Con questo provvedimento i Tribunali verrebbero sostanzialmente decongestionati dalla paralisi in cui sono precipitati e le carceri tornerebbero ad essere luoghi passabilmente vivibili per i detenuti e per tutti coloro che vivono e lavorano in quella realtà. Senza vita del diritto evapora qualsiasi diritto alla vita. L’amnistia e l’indulto sono gli unici strumenti tecnici a disposizione delle Istituzioni per interrompere e rendere possibile l’uscita dalla situazione di flagrante criminalità nella quale si trova lo Stato italiano.
C’è l’obbligo di tutti, secondo le proprie funzioni e responsabilità – dal capo dello Stato al capo del Governo, dai parlamentari eletti dai cittadini – di affrontare e risolvere quella che senza alcun dubbio è la massima urgenza sociale della storia della Repubblica. Con l’approvazione di questo disegno di legge per la concessione di amnistia e di indulto, per la difesa dello Stato di diritto e per la riforma della giustizia, il Senato della Repubblica potrà dire di aver fatto la sua parte.
Disegno di legge Articolo 1 (Amnistia)
1) È concessa amnistia per tutti i reati commessi entro il 30 giugno 2015 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena. Non si applicano le esclusioni di cui all’ultimo comma dell’articolo 151 del Codice penale.
2) L’amnistia non si applica ai reati di cui all’articolo 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
3) L’amnistia non si applica qualora l’interessato faccia esplicita dichiarazione di non volerne usufruire.
Articolo 2 (Indulto)
1) È concesso indulto per tutti i reati commessi entro il 30 giugno 2015 nella misura non superiore a due anni per le pene detentive e non superiore a 10mila euro per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive. Non si applicano le esclusioni di cui all’ultimo comma dell’articolo 151 del Codice penale.
2) Il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente disegno di legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
3) L’indulto di cui al comma 1 non si applica nei casi già rientranti nell’ambito di applicazione della legge 31 luglio 2006, n. 241.
Articolo 3 (Entrata in vigore)
1) La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10