
Le pensioni che superano di tre volte quella minima non sono le retribuzioni differite delle caste dei privilegiati, ma quelle del ceto medio del Paese. La retorica dei rigoristi, che godono di retribuzioni e di pensioni dieci o venti volte superiori alla stragrande maggioranza di quelle colpite dalla Legge Fornero, bolla i cinque milioni e mezzo di italiani a cui la Consulta ha riconosciuto il diritto al risarcimento come gli eredi diretti della mala-gestione pubblica dei decenni passati. E li accusa indifferentemente o di essere la causa della presente disoccupazione giovanile o di essere il simbolo dell’iniquo sistema retributivo di un tempo. Cioè di rappresentare una fetta di società a cui è giusto, in nome delle supreme esigenze di bilancio, imporre non solo il danno di non aver ottenuto per anni ciò che la Corte Costituzionale ha ritenuto legittimo, ma anche la beffa di aver visto balenare un risarcimento che però viene istantaneamente vaporizzato da un ennesimo atto d’imperio del Governo.
I rigoristi, che in questa occasione tendono bizzarramente a confondersi con quei renziani che avevano annunciato la sicura ripresa dopo i sacrifici grazie all’avvento del loro leader, non si rendono conto delle conseguenze dell’attacco portato a queste fasce pensionistiche del ceto medio. Che non sono solo di tipo elettorale, come pensano quanti all’interno del Governo pensano di rinviare a dopo le elezioni la truffa del parziale rimborso attraverso la degradante trovata dei cinquecento euro una tantum ad agosto. Ma che riguardano soprattutto il rapporto tra Stato e cittadini, un rapporto che, dopo quest’ultimo colpo inferto ai danni di chi non ha la possibilità di resistere alle vessazioni di un potere cieco ed ottuso, è destinato a subire un ulteriore e più grave sfilacciamento.
Se il rapporto si spezza, la sfiducia dei cittadini nei confronti dello Stato diventa dilagante. La vicenda delle pensioni è l’ultima goccia destinata a far traboccare il vaso. Nessuno si può più fidare di chi interpreta il patto sociale come un patto leonino in cui gli impegni sono solo a carico delle parti più deboli ed i benefici esclusivamente della parte dominante.
La conseguenza pratica di questa sfiducia non sarà solo l’assenteismo crescente alle elezioni regionali di fine mese, ma anche la convinzione che d’ora in avanti nessuno potrà essere certo di poter incassare le pensioni, cioè i salari differiti, che si andranno a maturare nel corso degli anni. Ciò che si sta consumando in questi giorni dimostra in maniera inequivocabile che lo Stato non mantiene i suoi impegni e che ci potranno essere nel futuro nuovi Monti, Fornero e Renzi pronti ad impossessarsi, con le scuse più diverse ed oscene, del reddito vitale dei cittadini per tenere in piedi se stessi ed il loro Stato predone.
Ma se il patto salta, perché mai continuare con la truffa del salario differito che diventa solo tassa differita? Perché non rendere facoltativo il sistema pensionistico pubblico riconoscendo ai cittadini il diritto di poter gestire direttamente, immediatamente e liberamente i frutti del proprio lavoro?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18