
Nessuno dubita che l’enfasi data dai grandi media al tracollo di Forza Italia nelle elezioni a Trento e Bolzano sia stata finalizzata a nascondere l’evaporazione del cosiddetto “effetto-Renzi”. Non è solo il partito di Silvio Berlusconi ad aver perso una ventina di punti nelle due città. Anche il Partito Democratico, rispetto alle ultime elezioni europee, ne ha lasciati sul campo una identica ventina. E se il mini-test amministrativo dice che l’area moderata si va polverizzando, dice anche che la sinistra tende fatalmente a tornare alla sua quota fisiologica e riesce a vincere solo grazie all’inconsistenza degli avversari.
Proprio la fine dell’“effetto-Renzi”, però, dovrebbe spingere chi si oppone al Premier sul versante del centrodestra a riflettere attentamente su come comportarsi in vista di elezioni politiche che dovrebbero tenersi alla scadenza naturale del 2018 (ma anche prima). E che comunque verranno celebrate con il nuovo sistema incentrato sul ballottaggio tra le due liste che avranno preso più voti.
Al momento, l’unica preoccupazione che sembra pervadere parecchi dei soggetti politici di quest’area sembra essere quella di strappare a Berlusconi il ruolo di federatore dello schieramento alternativo a quello della sinistra. A questo risultato punta la Lega Nord di Matteo Salvini, che radicalizza sempre di più il proprio messaggio politico per strappare il maggior numero di consensi possibile dal tradizionale bacino elettorale berlusconiano. E allo stesso risultato appaiono votati sia Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, sia gli altri gruppi minori che gravitano nel centrodestra, a partire da Italia Unica di Corrado Passera a finire ai dissidenti interni di Forza Italia che fanno capo rispettivamente a Denis Verdini ed a Raffaele Fitto.
Se si votasse domani, quest’azione distruttiva porterebbe fatalmente al ballottaggio tra il Pd di Renzi, sia pure ridimensionato e riportato sotto il trenta per cento, ed il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Può essere che l’esito sarebbe il fenomeno Pizzarotti su scala nazionale, cioè la vittoria di Grillo per la scelta degli elettori moderati di puntare al tanto peggio tanto meglio pur di non darla vinta alla sinistra. Ma più probabilmente si tornerebbe a riprodurre “l’effetto-Renzi” delle ultime europee per la scelta degli stessi elettori moderati di giocare la carta del meno peggio ed evitare di lasciare il Paese nelle mani degli avventuristi grillini. La riflessione dovrebbe spingere i gruppi del centrodestra a chiudere la fase distruttiva ed incominciare a riflettere su quella costruttiva. Berlusconi ha perfettamente ragione (ed i dati elettorali lo confermano) quando sostiene che trasformare la Lega nella forza egemone dell’area moderata significa solo assicurare a Renzi l’eterno governo del Paese. Salvini potrà anche arrivare al venti per cento, ma non potrà mai essere, con il suo lepenismo all’italiana, il federatore dello schieramento anti-sinistra. E lo stesso vale per tutti gli altri “distruttori”, compresi quelli interni a Forza Italia (in particolare Fitto, visto che Verdini segue un progetto del tutto diverso).
E allora? La risposta è semplice. O si accetta che Berlusconi continui a svolgere il ruolo di federatore che ha svolto per vent’anni di seguito stabilendo forme e modi di come dovrebbe essere articolata la federazione ed il conseguente listone. Oppure ognuno gioca la partita come meglio crede e ci si condanna o alla ghettizzazione, come la Lega lepenista, o alla polverizzazione, come tutti gli altri.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17