
In un suo recente editoriale (“Corriere della Sera”, 6 maggio), Ernesto Galli della Loggia dice di avvertire nel Paese - “dentro di noi e intorno a noi” - l’insorgere di “pensieri e pulsioni che in altri tempi avremmo giudicato tipici di una mentalità conservatrice (e che in un certo senso lo sono davvero)”.
Galli della Loggia ama offrire ai suoi lettori (e io lo sono sempre) osservazioni e riflessioni lavorate sul filo, se non del paradosso, della provocazione. È un ruolo assai utile perché l’opinione pubblica, bombardata da mezzi di comunicazione per lo più - magari solo “pro bono pacis” - conformisti o comunque accomodanti, ha bisogno di stimoli, di punzecchiature che la facciano uscire almeno per un po’ dal consueto torpore. Forse non riuscirà sempre nel suo intento, ma a volte l’ottimo editorialista dà modo ai suoi lettori di mettere in moto pensieri nuovi e stimolanti. In quel suo editoriale, Galli della Loggia ritiene di poter rilevare che noi (noi italiani, evidentemente, non è chiaro se in molti o solo in una piccola élite più meditativa) “stiamo diventando (indipendentemente dall’età e senza riferimento diretto ai tormentoni di un’economia pur in difficoltà) conservatori”... “perché a petto di ciò che è l’Italia attuale ne vorremmo una diversa...”, magari “un’Italia ancora con alcune cose, con alcune caratteristiche, che aveva quella di ieri e che sono state insulsamente gettate via”. “Forse più che conservatori siamo nostalgici”...
Data la mia età, la tentazione della nostalgia a volte mi attanaglia sul serio. E di molte delle cose del buon tempo antico di cui ci parla Galli della Loggia ho uno struggente ricordo personale. Della scuola di un tempo, per dire, quella che ho personalmente conosciuto, nella quale le famiglie erano, come le dipinge Galli della Loggia, tenute “a bada” e la “disciplina” era inflessibile, gli insegnanti “bravi, consci del proprio ruolo”, e i programmi non “pronubi alle novità”. Quella scuola odorava di legno, vernice e carta, di trucioli e gessetti, ma anche un po’ dei nostri corpi non certo abituati a docce e saponi, unguenti o profumi, e piuttosto rimpannucciati dentro abiti stazzonati, rinnacciati alla meglio e spesso passati a noi da cugini, parenti o amici troppo cresciuti. E mi prende la nostalgia anche per i “ciabattini” citati da Galli della Loggia, come per gli ombrellai, i concolinari, gli arrotini ambulanti che riparavano gli aggeggi di casa o gli ortolani che portavano al mercato le loro verdure davvero a chilometri zero. Molto c’è di buono, nella nostalgia per il buon tempo andato. Per Galli però c’è ben altro da rimpiangere: uno Stato efficiente nelle sue funzioni di “controllo e di vigilanza”, non rassegnato alla “inefficienza” e alla “protervia” dei suoi dipendenti; uno Stato che non aveva “deposto quasi per intero la sua sovranità nelle fauci del mostro freddo di Bruxelles” né si era ancora “arreso ai cacicchi regionali”; e infine l’Italia dei “borghi grandi e piccoli” che costituiscono gran parte del “passato vivo e vitale del Paese”.
Per Galli della Loggia qualche segno di resipiscenza e di ritorno a quel buon tempo antico per fortuna c’è. Pare che si cominci di nuovo ad apprezzare “le buone maniere”, il “senso comune”, persino “le gerarchie ed il merito”, per non parlare dei valori della “coesione collettiva” mentre qua e là si fa strada un certo “distacco rispetto a forme di scientismo prometeico, di certezza laicista” fino a ieri dominanti presso certa parte dell’opinione pubblica. Galli della Loggia si chiede poi se questi siano sentimenti “di destra”, quindi da deprecare e respingere, oppure no.
Infine, il politologo del “Corrierone” ricorda che le tante novità strombazzate dai protagonisti della cosiddetta Seconda Repubblica si sono dimostrate un fallimento, e che oggi quindi occorre soprattutto “ridefinire” profondamente quel che è di destra e ciò che è di sinistra, perché “in certi casi si può essere conservatori stando a sinistra, o temi di destra possono essere fatti propri dalla sinistra...”. Conclude, stringatamente, ammonendo che di tutte queste cose, di tutti questi contorcimenti, e magari rimpianti, si è accorto “grazie alla sua età e al suo fiuto, Matteo Renzi”; ed è per questo “che sta riportando una vittoria dopo l’altra, mentre i suoi avversari interni balbettano sul nulla...”.
Partecipe di molta della sua nostalgia, una sola domanda vorrei, un po’ perplesso, rivolgere a Galli della Loggia: ma è proprio sicuro che Renzi sia quello che vuole riportare al Paese tutte o un po’ di quelle cose di “pessimo gusto”? Che sia davvero l’amico di nonna Speranza? Non si è presentato piuttosto, Matteo, come il "rottamatore” che vuole cambiare e rovesciare l’Italia come un calzino per renderla più (e non meno) adeguata alle logiche del “mostro freddo” europeo, proprio per portare nella scuola più inglese, più informatica, più lavagne elettroniche, più banda larga e così via, mentre sono i suoi avversari interni (e i sindacati) che vorrebbero ritornare a quell’Italia miserella e piccolina, che non c’è più e che - come lo stesso Galli della Loggia ammette - forse non c’è mai stata; e se c’è stata era, come la ricordo io, non tanto amabile e persino, per il 90 per cento degli italiani, invivibile?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:08