
Pare che l’autore della formula del “Partito della Nazione” non sia stato Matteo Renzi, ma Alfredo Reichlin. Colpito dal 41 per cento conquistato dal Partito Democratico in occasione delle elezioni europee, l’anziano ex direttore de “L’Unità” e dirigente storico del Partito comunista italiano, avrebbe coniato questa definizione per il partito trasformato da Renzi nell’asso pigliatutto della politica italiana.
La formula di Reichlin ha fatto subito fortuna. Il Premier l’ha fatta subito sua. Ed i suoi sostenitori, soprattutto quelli spuntati come funghi tra gli intellettuali abituati a collocarsi sempre e comunque sul carro governativo e vincente, l’hanno elaborata ed arricchita di nuovi significati. Se Reichlin, come ha spiegato successivamente, aveva pensato al Partito della Nazione come il partito della sinistra unita ed espansa che si poneva al centro della scena politica, i neofiti del renzismo hanno invece costruito uno schema del tutto diverso da quello del fronte popolare a vocazione maggioritaria indicato dal vecchio comunista. Per loro il Partito della Nazione era e deve essere una sorta di grande area centrale dove convergono non solo la sinistra di governo e riformista, ma anche e soprattutto le componenti del centrodestra orfane di Silvio Berlusconi ed alla ricerca di un nuovo “padre” a cui affidarsi per avere spazi e protezione.
L’ultima versione della legge elettorale, quella su cui Renzi ha posto la fiducia per piegare le ultime resistenze dei dissidenti del proprio partito, punta apertamente a dare una veste istituzionale a questa interpretazione del Partito della Nazione. Non a caso il Premier si è detto certo di non poter contare solo sulla maggioranza dei voti del Pd e del resto della maggioranza, ma anche su quelli di una larga fetta di Forza Italia ormai decisi ad entrare a far parte di una sorta riedizione ingrandita della vecchia Democrazia Cristiana destinata a governare per qualche decennio grazie al sostegno indiretto degli opposti estremismi di Lega e sinistra estrema.
In realtà, però, questa interpretazione neodemocristiana del Partito della Nazione sembra più una costruzione intellettuale o, al massimo, una trovata contingente di parlamentari decisi a conservare la poltrona fino al 2018. Non ha basi reali nel corpo elettorale, visto che nessuno ha registrato grandi spostamenti dell’elettorato moderato verso il Pd di Renzi. E non sembra avere neppure una rispondenza concreta all’interno del Parlamento. Fino a questo momento non ci sono state trasmigrazioni apparenti di voti da Forza Italia al Premier. Ma, al contrario, il fenomeno che si sta determinando sembra essere esattamente contrario. È il Pd renziano che incomincia a perdere pezzi, sia pure quelli dei dissidenti più intransigenti. Ed è la maggioranza di Governo che appare segnata da sommovimenti interni destinati a sfociare in prese di distanza, defezioni, abbandoni, soprattutto tra quegli esponenti di area centrista che soffrono l’appiattimento di Angelino Alfano sull’“uomo solo al comando”.
L’impressione, in sostanza , è che il Partito della Nazione si stia trasformando radicalmente. Non sia quello immaginato da Reichlin di fronte popolare allargato. E neppure quello neodemocristiano del Governo perenne elaborato dai neofiti del renzismo. Ma sia sempre di più ed in maniera sempre più smaccata il Partito della Fazione. Cioè del solo Renzi e dei suoi amici e famigli più stretti!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17