Milano, la terza vittima  ed il sistema di casta

Hanno avuto ragione gli avvocati nel denunciare il diverso trattamento ricevuto dai morti di Milano da parte dalle pubbliche autorità, Presidente della Repubblica in testa: piena solidarietà al giudice ucciso in quanto simbolo di una categoria considerata sotto aggressione, solidarietà solo umana nei confronti dell’avvocato ucciso in quanto componente di una categoria non in prima linea ed una solidarietà né politica e neppure umana per la terza vittima che, oltre al fatto di non essere un componente di una qualche categoria, era pure imputato, cioè un soggetto potenzialmente colpevole e moralmente ambiguo.

Ha avuto ancora più ragione, poi, il professor Coppi nel criticare chi si è distinto nel formulare questa sorta di graduatoria delle solidarietà sottolineando che la storiaccia di Milano è stata una vicenda di semplice vendetta personale e non un attacco alla magistratura o all’avvocatura.

Tutte queste ragioni pongono comunque un problema. Che non può essere ignorato o sottaciuto. E che riguarda il perché la risposta immediata ed istintiva alla tragedia di Milano sia stata segnata da questa singolare ed ingiusta scaletta di diverse solidarietà. La spiegazione è contenuta nella convinzione dei magistrati italiani di sentirsi vittime di un’aggressione continuata. Che normalmente si manifesta nelle campagne di discredito nei loro confronti lanciate dai “potenti” di qualsiasi genere e natura colti dalle inchieste con le mani nel sacco. E che alle volte arriva a livelli talmente parossistici da provocare esplosioni di violenza individuale come quella di Milano.

È fondata questa convinzione della categoria dei magistrati? O è forse vero il contrario e cioè che il ruolo sempre più determinante assunto dalle toghe sulla scena politica ed economica nazionale ha dato vita ad uno spirito di casta che non tollera alcun tipo di critica, che considera la legge sulla responsabilità civile e la riduzione delle ferie delle insopportabili aggressioni e che scambia un fenomeno di paranoia criminale ed individuale in un attacco politico alla categoria?

La risposta più vera e più preoccupante viene dalla sostanziale indifferenza mostrata dall’Italia ufficiale, quella delle massime autorità e dei maggiori media, nei confronti della terza vittima, l’imputato. A cui viene concesso di non essere escluso dal funerale di Stato in Duomo in apparente posizione paritaria con le altre vittime, ma che nei fatti viene considerato all’ultimo gradino di una scala gerarchica politica e sociale in cui il primo ed inarrivabile posto è tenuto dalla categoria di magistrati.

La terza vittima è dunque il paria, in quanto cittadino semplice e per di più imputato, di questo sistema castale che non è il frutto di una qualche innovazione allo stato di diritto previsto dalla Carta Costituzionale, ma è la conseguenza di una deriva giustizialista durata alcuni decenni. Quella che ha posto le toghe al vertice del sistema delle caste, ed all’ultimo, in una posizione di sostanziale esclusione, i cittadini ormai privati della presunzione d’innocenza e di fatto portatori della presunzione di colpevolezza.

I magistrati più accorti e responsabili sono consapevoli che un sistema del genere, in cui la stragrande maggioranza dei cittadini è suddita in quanto relegata all’ultimo posto della scala sociale, produce sfiducia crescente nei confronti della giustizia e di chi la deve amministrare. Ma la loro voce è flebile. E la sfiducia cresce minacciando di trasformare la categoria in una ridotta di privilegi corporativi circondata da masse crescenti di cittadini convinti di essere vittime della giustizia di casta.

La terza vittima, quella negletta, dovrebbe far riflettere su questo drammatico rischio!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18