
Sta facendo rumore l’uscita del tandem Bondi-Repetti da Forza Italia. La base del partito non l’ha presa bene. I militanti accusano la coppia di opportunismo politico. Noi, invece, facciamo fatica a pensarlo perché la scelta dei due s’inquadra in una strategia studiata che non può essere derubricata a banale salto sul carro del vincitore. Già in passato Sandro Bondi aveva espresso la volontà di tornare alla Casa Madre dei riformisti. Ciò finora gli era stato impedito dalla permanenza nel campo della sinistra di una forza egemone massimalista, inconciliabile con l’evoluzione in senso liberale del socialismo italiano.
Oggi, con la vittoria di Matteo Renzi sugli avversari interni nel Pd, quel progetto diverrebbe praticabile. La tesi, sebbene suggestiva, nasconde dei pericoli. Nell’analisi bondiana il centrodestra si configura come un incidente della storia, una necessità imposta dal precipitare degli eventi dopo il crollo della “prima repubblica” per mano dei magistrati di “mani pulite”. Bondi in parte dice il vero perché fino al 1994 il centrodestra non esisteva in natura. È stato un prodotto di sintesi determinatosi a seguito di due simultanee ondate migratorie: la diaspora socialista e quella democristiana. Nell’intuizione berlusconiana i nativi della destra politica ebbero un ruolo secondario. Ne è prova il fatto che la classe dirigente del nuovo partito era composta in prevalenza da ex-socialisti ed ex-democristiani. Oggi Bondi dice: se la sinistra ha emarginato la componente massimalista e marxista dalla formazione della sua linea politica, aprendo la strada a una prospettiva di riformismo liberale, la missione del centrodestra si è conclusa. Del resto, anche il “Patto del Nazareno”, fortemente voluto da Berlusconi, altro non era se non il prodromo di questo riflusso della storia.
Ci permetta Bondi di non concordare con il suo ragionamento. In primo luogo, l’invenzione berlusconiana del ‘94 determinò la virata del sistema istituzionale italiano verso il bipolarismo dell’alternanza. Anche il nostro Paese si allineava a uno schema politico ampiamente presente nelle democrazie occidentali, definendo in modo trasparente ciò che in forme mascherate preesisteva dai tempi della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Pensare oggi di riportare al centro del sistema un indistinto valoriale e ideologico, assemblato in una sorta di Partito Unico della Nazione, sarebbe un salto all’indietro molto negativo.
Inoltre, l’idea che la destra sia condannata a essere una variabile nelle dinamiche della sinistra è un errore. Benché non l’abbia difeso a dovere in questi vent’anni la destra conserva un suo patrimonio ideale e di visione della società che non può essere marginalizzato. Una destra insieme liberale e conservatrice, legalitaria e garantista non è un ossimoro. È piuttosto una credibile offerta di governo dello Stato e della società totalmente alternativa a quella della sinistra.
E poi, ce lo consentirà Bondi, l’idea che un riformismo liberale, veicolato nelle istituzioni attraverso un partito di matrice socialista che possa coprire per intero il campo del riformismo moderato è un abbaglio. Il socialismo liberale a cui pensa Bondi, messo in pratica, ha dato luogo in passato a indesiderabili forme di totalitarismo. D’altro canto non è un caso se, dietro il tratto decisionista del giovane Renzi, molti scorgano il pericolo di una deriva autoritaria. Comunque stiano le cose, Sandro Bondi e Manuela Repetti non meritano gli insulti. È anche grazie a loro se, d’ora in avanti, tutto sarà più chiaro. Gli elettori non correranno il rischio di essere defraudati dai loro stessi rappresentanti. Speriamo solo che tutti quelli che in Forza Italia vivono una crisi d’identità di genere politico abbiano il coraggio di fare coming out. Diamoci un taglio, una volta per tutte, con la tragicomica pantomima del “volemose bene” a tutti i costi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12