Il Partito della Nazione ma senza la Nazione

Il percorso che Matteo Renzi ha compiuto dal momento del suo ingresso a Palazzo Chigi indica che nel giro di un anno il Premier è passato dalle larghe intese al monocolore renzista. L’obiettivo sempre più sbandierato del Presidente del Consiglio e segretario del Pd è di cambiare l’Italia a colpi di riforme. Ma se al momento della partenza della sua ambiziosa marcia per il cambiamento poteva contare sul sostegno di uno schieramento che comprendeva addirittura il maggiore partito dell’opposizione di centrodestra, adesso quello schieramento si è drasticamente ridotto fino a ridursi ad un nucleo di renziani in servizio permanente effettivo presente nel Pd e affiancato da piccoli gruppetti di renziani di complemento presenti in altre formazioni politiche.

Gli entusiasti sostenitori della marcia di Renzi affermano che questo singolare fenomeno non è altro che la costruzione del cosiddetto Partito della Nazione. Cioè la formazione di un nuovo soggetto politico destinato a nascere attorno al ceppo del Pd sfrondato delle sue componenti più di sinistra e più tradizionaliste ed a quelle componenti dell’area moderata convinte che l’Era berlusconiana della democrazia dell’alternanza sia finita e che sia giunto il momento di dare vita, attorno a Renzi, ad un partito destinato a garantire senza alternative la governabilità e la stabilità del sistema. Può essere che i fautori del Partito della Nazione abbiano ragione.

Di sicuro, però, se questo partito deve nascere dalla spaccatura del Pd con l’espulsione della sinistra tradizionalista, dalla lacerazione di Forza Italia con la fuoriuscita degli ex cortigiani di Berlusconi decisi a diventare cortigiani di Renzi, dalla cannibalizzazione di Scelta Civica e dalla frantumazione del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, non si può fare a meno di rilevare come il risultato possa risultare viziato da un difetto di fondo. Quello di un Partito della Nazione minoritario rispetto alla Nazione stessa. E, quindi, per nulla in grado di sostituire al sistema della democrazia dell’alternanza il sistema del partito centrale inamovibile sul modello della vecchia Dc.

L’operazione potrebbe riuscire se mettendo insieme i renziani del Pd e quelli dell’ex Scelta Civica, del Nuovo Centrodestra, di Forza Italia e dei tanti transfughi dei gruppi misti di Camera e del Senato si desse vita ad una rappresentanza parlamentare sostenuta da un adeguato consenso elettorale. Cioè se il partito unico renziano riuscisse a conservare la soglia del 41 per cento dei voti conquistati dal Premier alle elezioni europee. Ma è certo che non saranno i fuoriusciti dagli altri partiti che porteranno un solo voto in più a Renzi. Al contrario, tutti questi fuoriusciti, percepiti dall’opinione pubblica come trasformisti in cerca di una nuova sistemazione personale, si trasformeranno in micidiali zavorre per l’ascesa di Renzi verso la cristallizzazione dell’“uomo solo al comando”.

Le prossime elezioni regionali costituiscono il test del Partito della Nazione. Se Renzi le vince può concretizzare il progetto della neo-Dc. Se le perde deve ritornare, suo malgrado, alla democrazia dell’alternanza!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17