La strigliata di Draghi al governo Renzi

Il presidente della Bce Mario Draghi, nel corso di una audizione alla Camera dei deputati, ha duramente strigliato il governo Renzi. In estrema sintesi il suo ragionamento ricalca ciò che andiamo predicando su queste pagine da molto tempo: il cosiddetto Quantitative Easing può servire a dare una spinta alle varie economie dell’eurozona, aumentando di fatto la disponibilità creditizia del sistema bancario; tuttavia esso non può essere risolutivo se non si realizzano profonde riforme strutturali, in grado di rendere più fertile il terreno produttivo in cui le imprese si trovano ad operare.

E su questo piano il capo della Banca centrale europea è stato chiarissimo, facendo l’esempio di un ipotetico giovane imprenditore italiano che, una volta ottenuto un finanziamento per una nuova azienda, si troverebbe comunque a mal partito di fronte ai costi fiscali e burocratici che lo Stato continua a imporre. Così come, ha aggiunto Draghi, a nulla serve proseguire sulla strada dell’aumento delle tasse - con un chiaro riferimento ad alcune scelte dell’attuale esecutivo - se non si riduce in modo deciso la spesa corrente, vero macigno sulla strada di una ripresa equilibrata e duratura.

Tuttavia, con un premier il quale, come ha scritto giustamente Arturo Diaconale, è sempre pronto a mettersi in favore di vento quando si tratta di sfruttare il consenso, le sagge considerazioni di Draghi sono, ahinoi, destinate a restare lettera morta. Proprio dal punto di vista della crescita, l’assatanato cacciatore di voti che ci governa sta semplicemente sfruttando la favorevole situazione del ciclo economico - per ora solo al livello di rimbalzo che molto poco ha a che vedere con le misure fantasma del mago fiorentino - sperando solo di potersi intestare politicamente una ripresa che per ora non registrano neppure i sismografi più sensibili.

Resta comunque il fatto, proseguendo sulla linea logica del presidente della Bce, che pure senza riforme che riducano i costi di uno Stato ladro, rendendo quindi più agevole l’attività economica, l’aumento del circolante deciso da Bruxelles un effetto sul Pil lo avrà senz’altro. Ma sarà, per l’Italietta dalla fiscalità proibitiva, solo una droga momentanea soprattutto dal lato dei consumi, sicuramente incentivati da altre campagne elettoralistiche fondate sul deficit-spending. Tanto è vero che lo stesso Draghi ha lapidariamente dichiarato che l’Europa della moneta unica, contrariamente a ciò che pensano nel loro intimo molti politici di professione di questo disgraziato Paese, “non è stata pensata come uno spazio dove coesistano creditori permanenti e debitori permanenti, ma come un’area in cui ogni Paese dovrebbe convergere verso i livelli più alti di competitività e di reddito”.

Competitività e reddito reale, mi permetto di aggiungere, che non si ottengono con gli annunci e le chiacchiere fin qui dispensati a piene mani da chi occupa la stanza dei bottoni, ma solo attraverso una graduale e sistematica riduzione di uno Stato che estorce e spende oltre il 55 per cento del reddito nazionale. Per farlo però occorre un coraggio politico e una visione che sembra mancare completamente al rottamatore del buon senso al potere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12