
Nessuno prende sul serio la riforma della Rai proposta dal Movimento Cinque Stelle. Sostituire al criterio della lottizzazione partitica quello del colpo di fortuna , che si realizzerebbe attraverso il sorteggio da parte dell’Agcom dei candidati al Consiglio di Amministrazione provenienti dalla società civile, è decisamente risibile. Ma se la riforma dei grillini è una barzelletta, quella proposta da Matteo Renzi è al tempo stesso una provocazione ed una presa per i fondelli.
La provocazione è data dalla sfacciataggine con cui si vuole chiudere l’ra della Rai occupata da una molteplicità di partiti aprendo la fase della Rai di proprietà esclusiva di un solo partito, quello del Premier. La presa per i fondelli è costituita dal meccanismo inventato per dare una parvenza vagamente democratica all’avvento della radiotelevisione pubblica al servizio del regime renziano.
Sulla provocazione c’è poco da dire. La riforma di Renzi è apertamente rivolta a fare della Rai la sua arma più forte. Per questo il termine “pluralismo” non figura affatto nella proposta governativa. Con la scusa della riduzione degli sprechi e della razionalizzazione di una struttura burocratica elefantiaca provocata dalla vecchia lottizzazione, Renzi cancella le aree e le diverse sensibilità culturali e stabilisce che la nuova Rai deve essere a propria immagine e somiglianza. La provocazione è tutta qui. Cioè nel non nascondere affatto il proprio obbiettivo ma, addirittura, nell’esibirlo con una arroganza fin troppo simile alla protervia di stampo autoritario.
La conferma viene proprio dalla presa per i fondelli insita nel meccanismo inventato per dare vita alla governance destinata ad assicurare l’occupazione integrale della Rai da parte del Premier. L’amministratore delegato con ampi poteri sarà ovviamente di nomina governativa. Come ai tempi di Fanfani e Bernabei. Dei sette componenti del consiglio di amministrazione, poi, tre saranno di nomina del ministero del Tesoro, cioè del governo. Uno sarà eletto dai dipendenti della Rai. E conoscendo la vocazione naturale dell’azienda a mettersi al servizio del vincitore, si tratterà di un tizio che non potrà non essere di gradimento del governo.
E, infine, gli ultimi tre consiglieri saranno nominati in seduta congiunta dai deputati e dai senatori, con la procedura usata per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei componenti della Corte Costituzionale. Il ché significa che con il nuovo Senato formato da sindaci e consiglieri regionali in larghissima parte del Pd e con una Camera dove il premio di maggioranza previsto dall’Italicum è rivolto a rendere inattaccabile lo schieramento renziano, almeno due dei tre consiglieri di nomina parlamentare saranno espressione del governo e solo uno dell’opposizione.
Renzi, dunque, si prepara a diventare il padrone esclusivo della Rai. E lo vuole fare convincendo gli italiani che per poter cacciare i partiti dal servizio pubblico non c’è altra strada che trasformare l’azienda in servizio privato. Il suo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:09