Emma, lezione di stile  ma da Salvini invece?

Sì, vabbè, la politica italiana è questa. E questa è la tivù dei talk-show, pure italiana. E se questa è la situazione del Paese, allora lasciamo perdere e chi s’è visto s’è visto. Quante volte rimuginiamo simili mugugnate e quante volte ci caschiamo dentro subito dopo averne ripudiato l’attrazione fatale. Televisione e politica procedono di pari passo verso la reductio ad unum che, tradotto in volgare, significa la riduzione ad un unico pensiero (non pensiero unico, attenzione) che altro non è che l’audience.

Infatti, al netto dello sfrenato presenzialismo dello one-man-show di Palazzo Chigi, il palinsesto politico-televisivo è cannibalico, divora e auto-divora, dilata e comprime la pancia traendone succhi acidi risolti in risse, insulti, parolacce. E l’audience s’impenna. Mica sempre, mica ovunque, lo sappiamo, ma lasciamo perdere. Gare allo sputo in faccia sostitutive di quelle alla contrapposizione degli argomenti, corse sfrenate alle accuse reciproche in cui qualsiasi rispetto della persona è ripudiato come facevano le guardie carcerarie di Alcatraz coi prigionieri; pose muscolari da ring di quint’ordine, e via malmenandosi.

Poi capita, ma è raro, che volte ci si riconcilia col medium, persino con i talk-show, se non addirittura con l’archetipale modello già fondato da Giovanni Floris ed ora condotto da Massimo Giannini. Capita quando ci imbattiamo in incontri speciali con speciali persone. Come Emma Bonino apparsa l’altra sera a “Ballarò”. Apparsa, da apparire. Come l’apparizione di un’oasi nel deserto, di un piccolo spazio verde nella vastità arida del panorama, come un luogo di pausa, un terreno neutro in mezzo a guerre di parole. La Bonino ci ha raccontato non solo la sua storia, della “bestiaccia invadente”, che pure la si vedeva scorrere aspra sul quel volto sorridente, ma anche una storia che ci riguarda. Ci ha spiegato come la natura umana deve fare i conti con se stessa e come la persona sia all’altezza di essere tale nella misura in cui non smarrisce mai la sua dignità. Anche e soprattutto politica, ma con lo sfondo esistenziale, preciso, non ellittico, diretto e, dunque, suscitatore di emozioni, di esperienze, di consapevolezze.

La narrazione del contesto mediorientale che Emma ben conosce, il ginepraio tragico di una Libia in macerie dopo le catastrofiche imprese della Strafexpedition più imbecille di questo ventennio, la Polis in generale come la vive e la elabora una che della e nella politica è cresciuta e tuttora vi partecipa; ebbene, tutto questo ed altro ancora hanno fatto della presenza della Bonino un esempio, una lezione, un insegnamento. Una sorta di “Lectio magistralis” perché è, soprattutto, una lezione di stile. Anche per leggendari conduttori, che spesso danno l’impressione di un titanismo da brutta copia del Dio di un “Grande Fratello”. Ma anche per i frequentatori dai talk, oltre che per i protagonisti politici.

A proposito: quasi in contemporanea con la Bonino è uscita dal video, come spinta da una forza barbarica, la felpa salviniana seguita dal suo volto dalla cui bocca scaturivano parole ben note, non pronunciate ma ringhiate, non utili al confronto dialettico ma allo scontro all’arma bianca. Il nemico di turno definisce il giovane leader della Lega il quale, a sua volta, definisce l’avversario. Con l’avvertenza che per Matteo Salvini, ben oltre il logo di prammatica sulla felpa del “Renzi a casa”, i nemici sono un po’ tutti e non solo a sinistra, ma anche a destra coi “nanerottoli” di Ncd, anche a Berlusconi, sì proprio lui, che è tutto dire. Se dalla Bonino ci sono pervenute lucide riflessioni e limpide proposte come si addice a chi ha fatto e fa politica intesa come missione in funzione della cosa pubblica, da Salvini continuano ad arrivare messaggi alla rovescia, delle non-proposte, dei non-progetti, a meno che non si tratti di progetti e proposte pro domo sua e (sempre pro domo sua) anche quando vengono fatti passare come rimedi e toccasana per il Paese (vedi uscita dall’Euro e tassazione al 15 per cento).

Va da sé che Salvini può, anzi deve dire ciò che vuole infischiandosene di alleanze per traguardi governativi, e soprattutto per rifarsi una doppia verginità: dal disastro del cerchio magico e dal secessionismo capovolto in nazionalismo lepeniano, doppio salto mortale senza rete. Il punto vero è che la costruzione ancorché ardita di una nuova Lega Nord estremista, fondata sulla leadership unica, funziona all’interno del partito, al bar, nei talk-show, nei sondaggi, ma dopo? E subito? Una legge fisica, prima ancora che politica, sancisce che più un leader radicalizza il partito più un suo potenziale alleato moderato se ne discosta per non venirne assorbito. Per spirito di sopravvivenza. Scommettiamo che il Cavaliere spinto dal salvinismo arrembante ritorna allo spirito del Nazareno?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13