
Matteo Salvini ha deciso di accentuare la sua conversione al lepenismo. Al punto da infischiarsene della conferma di Luca Zaia in Veneto alle prossime elezioni regionali e di puntare a trasformare le amministrative di primavera nella conferma dei sondaggi che gli dicono come la Lega abbia triplicato i propri voti a livello nazionale scegliendo la linea della destra radicale. A sua volta Angelino Alfano ha capito la lezione di Scelta Civica sciolta nell’acido del Partito Democratico e ha deciso di evitare a breve quella sorte trasformando il Nuovo Centrodestra nella foglia di fico moderata del regime renziano.
Tra queste due decisioni, Forza Italia rischia di fare la fine del classico vaso di coccio tra quelli di ferro. Perché le sue divisioni interne possono provocare spinte centrifughe in direzione sia del Salvini lepenista , sia dell’Alfano renziano. Non stupirebbe, ad esempio, se i parlamentari che fanno capo a Raffaele Fitto si trasformassero in massa in leghisti meridionali per conservare ciò che a loro effettivamente interessa, cioè la ricandidatura alle prossime elezioni. Ed al tempo stesso non colpirebbe più di tanto scoprire che se Renzi si dice certo di poter contare in caso di necessità sul voto di qualche forzista è perché qualcuno si è già offerto di saltare sul carro del vincitore. Per Forza Italia, dunque, sfuggire alla morsa non è facile. Ma, a ben guardare, non è neppure impossibile. Perché il lepenismo di Salvini ed il renzismo di Alfano hanno entrambi un limite. Che è quello di avere un futuro fin troppo determinato. Quello del leader leghista è di essere destinato alla ghettizzazione ad una opposizione infinita. E quello di Alfano di essere condannato a seguire la sorte di Scelta Civica e finire anche lui ed il suo partito sciolti in un acido renziano che non dà alcuna possibilità di sopravvivenza a chi non ha ruolo e consenso politico.
Questi limiti oggi sembrano lontani. Ma in realtà incominciano a farsi sentire. La spinta di Salvini si è di fatto esaurita. La sua Lega in formato lepenista può fagocitare l’elettorato della destra radicale ma non può andare oltre. E se per caso dovesse perdere il Veneto si troverebbe in gravissima crisi anche in caso di triplicazione di voti nelle sette regioni dove si vota a maggio. Lo stesso vale per Alfano. Che fa il renziano a Roma, ma che nelle regioni tratta e si accorda con Forza Italia per non perdere del tutto un elettorato che comunque non vuole morire renziano.
Certo, per sfruttare queste crepe che si manifestano nei due apparenti vasi di ferro ci vorrebbe una Forza Italia fatta di coccio duro e soprattutto coeso. Il ché, al momento, non sembra. Ma a suo vantaggio, benché di nuovo aggredito dalla persecuzione giudiziaria, Silvio Berlusconi ha la conferma del ruolo politico. Senza la sua presenza il centrodestra non ha alcuna possibilità di tornare a dare vita ad uno schieramento effettivamente alternativo ad un regime renzista che di giorno in giorno mostra la sua vera natura di regime a vocazione autoritaria. Non è poco. Anzi, è tantissimo per una nuova lunga marcia!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14