
Gli ultimi sondaggi indicano che l’offensiva di Matteo Salvini diretta a trasformare la Lega Nord in un grande partito nazionale destinato ad assumere la leadership dell’intero centrodestra ha perso lo slancio iniziale.
I leghisti sono sempre quotati sopra il tredici per cento, ma quella spinta che sembrava destinata a far salire il Carroccio, grazie al voto dei meridionali convertiti al “No euro e “No immigrazione”, verso la quota del venti per cento si è sicuramente esaurita e, secondo alcuni sondaggisti, si è addirittura invertita. Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici.
Il primo è che lo sfondamento al Sud è risultato forte, ma non tanto quanto ci si poteva aspettare. I dati indicano che nelle regioni meridionali la Lega oscilla tra il 6 e l’8 per cento. Il ché è sicuramente tantissimo rispetto al nulla degli anni passati, ma non è ancora una quota in grado di mettere in discussione il radicamento delle altre forze di centrodestra dal Garigliano alle isole. La causa principale di questa crescita inferiore alle attese ed alle previsioni è la mancanza di classe dirigente di qualità. Che riguarda direttamente l’espansione leghista al Sud visto che a raccogliersi sotto le insegne di Salvini in meridione sono state, fino ad ora, solo le terze e le quarte file di Forza Italia e della ex Alleanza Nazionale. Ma che tocca anche la Lega settentrionale, dove il passaggio di leadership da Bossi a Maroni fino a Salvini non ha prodotto un allargamento dei quadri e dei dirigenti ma, al contrario, una riduzione ed una conseguente aumentata conflittualità tra i vittoriosi sopravvissuti al processo di selezione interna.
La seconda ragione è di natura politica. La scelta di Salvini di puntare sul lepenismo all’italiana per un verso ha nazionalizzato il partito, lo ha fatto recuperare al Nord e lo ha sviluppato al Sud. Ma per l’altro ha rigidamente delimitato il terreno leghista entro i confini della vecchia destra, precludendogli ogni possibile espansione nella parte dell’area moderata per nulla intenzionata a morire lepenista. Proprio nel momento in cui Salvini ha posto la sua candidatura a leader dell’intero centrodestra, in sostanza, la sua linea politica lo sta indicando all’elettorato come il leader di una sola parte minoritaria, quella della destra radicale, destinata per questa sua natura a soccombere sempre e comunque nel confronto con la sinistra di Matteo Renzi.
La riflessione indica che se l’espansione della Lega di Salvini si è esaurita per queste ragioni, automaticamente si riapre lo spazio per la conferma della leadership del centrodestra di Forza Italia. Sempre che, naturalmente, Silvio Berlusconi rimetta in riga i litigiosi e torni ad essere l’elemento di indispensabile mediazione e guida delle diverse componenti dello schieramento moderato.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18