Sulla Libia il governo prende solo tempo

Ma che vuol dire che “l’Italia è pronta ad assumere un ruolo guida nella cornice dell’iniziativa dell’Onu” in Libia? La prima risposta all’interrogativo è che il governo italiano è pronto a mettere in campo la “ risorsa” Romano Prodi per sostituire il “mediatore” spagnolo Bernardino Leon nel compito di mediare tra le fazioni in lotta nella vecchia “ quarta sponda”. L’Italia, cioè, è pronta a mettere nella partita libica la guida. Ma per fare cosa?

A questa domanda nessuno sa dare una spiegazione plausibile a parte quella scontata della ricerca di una soluzione negoziata e pacifica del conflitto in corso. Prodi, sempre che poi Matteo Renzi si convinca che giocare la carta dell’ex Premier non comporti il rischio di rilanciarlo nella politica nazionale come leader dell’alternativa ulivista al renzismo, avrebbe come interlocutori fazioni, tribù, banditi travestiti da islamisti ed islamisti trasformati in banditi, due governi alternativi senza autorità alcuna e, soprattutto, tutte le diplomazie dei paesi dei continenti europeo, africano, asiatico ed americano interessati al petrolio libico ed agli equilibri nel Mediterraneo.

Prodi, dunque, non potrebbe far altro che prendere e perdere tempo. Tra un viaggio e l’altro, un colloquio e l’altro, nella speranza che nello svolgimento della sua melina diplomatica qualcuno, come ad esempio il governo egiziano preoccupato di non finire nella morsa degli islamisti del Sinai collegati a quelli dell’Isis libico, non cavi le castagne dal fuoco facendo il lavoro sporco delle armi che l’Occidente non intende compiere.

Può essere che questa sia la politica più realistica che l’Italia possa tenere oggi nei confronti del caso Libia. Prendere tempo in attesa che il tempo e chi ha più interesse diretto risolvano il problema.

Ma questa linea generale non può esaurire l’impegno del governo del governo italiano. Perché il caso Libia non consiste solo nel cercare di favorire una soluzione pacifica tra le fazioni in lotta ma anche della inderogabile necessità di fronteggiare tutti i pericoli che l’esplosiva instabilità libica scarica sul nostro paese. Il primo di questi è la sicurezza interna italiana. Che non riguarda solo il rischio di infiltrazioni terroristiche legate ai flussi migratori di massa che si scaricano sul nostro territorio. Ma riguarda anche la sicurezza sociale di un paese che oltre ad essere alle prese con una gigantesca crisi economica si trova a dover subire le conseguenze materiali e psicologiche di una immigrazione talmente intesa da essere vissuta come una invasione.

Su questo terreno non c’è Prodi che tenga. Spetta al governo adottare comportamenti e misure concrete per impedire che la società italiana possa avere fenomeni di rigetto violento nei confronti di una immigrazione percepita come atto violento. Nessuno dimentichi che nei primi anni novanta le ondate immigratorie proveniente dall’Albania, che pure erano molto meno consistenti di quelle attuali ( venti-trenta mila persone all’anno rispetto alle centocinquantamila del 2014) provocarono effetti politici importanti sull’opinione pubblica italiana. Oggi può avvenire di peggio. Per questo, se i governi di allora si impegnarono a pattugliare le coste albanesi ed a presidiare i porti colpendo gli schiavisti e le loro flotte di barconi, perché il governo di adesso non prende esempio dal passato? Manca la memoria storica o la volontà politica?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18