
Libia. Renzi sbaglia di grosso a invocare l’intervento messianico delle Nazioni Unite. Non caverà un ragno dal buco dei salotti ovattati del Palazzo di Vetro. Vi sono ragioni geopolitiche complicatissime che impediscono al pachiderma Onu di giungere a soluzioni efficaci in tempi rapidi. Sarà un miracolo se, nei prossimi giorni, si riuscirà a ottenere una risoluzione che raccomandi la via diplomatica alla soluzione della crisi. Se il nostro premier non si vuole nascondere dietro il solito giochino delle tre carte deve reagire. Visto che non se la sente di allestire un intervento armato ma vuole puntare sulla ripresa del dialogo tra le fazioni in lotta allo scopo di isolare la forza crescente dell’Isis, non gli resta che riaprire l’ambasciata italiana a Tripoli. La Farnesina predisponga il rientro in Libia del nostro ambasciatore. Non da solo, ovviamente. Senza pensare ai grandi numeri sarebbe utile accompagnare la nostra delegazione con un mini-contingente armato allo scopo di mettere in sicurezza l’area della sede diplomatica.
La riapertura degli uffici consentirebbe il ripristino del lavoro d’intelligence sul campo, indispensabile se si vuole tentare di riportare al tavolo delle trattative le fazioni in lotta. Fino alla scorsa settimana la sede della rappresentanza dell’Italia, unica tra le nazioni occidentali ancora presente in territorio libico, è stata un faro di certezza per tutti. Se si vuole davvero tentare la riconciliazione deve tornare a esserlo. Certamente questo manipolo di italiani non va lasciato solo. Bisogna coprirgli le spalle. Abbiamo speso una valanga di danari per dotarci di una portaerei e di incrociatori portaelicotteri. Perché non inviarli a sorvegliare le acque territoriali libiche? Potrebbero fornire la necessaria copertura ai nostri uomini, civili e militari, impegnati sulla terraferma garantendo una rapida evacuazione in caso di pericolo. Si tratterebbe di cogliere due piccioni con una sola fava.
Abbiamo assistito alcuni giorni orsono a un episodio di straordinaria gravità che, in assenza di contromisure, potrebbe ripetersi. Un pattugliatore della nostra Guardia Costiera è stato attaccato da un barchino di predoni mentre forniva assistenza a una delle tante imbarcazioni cariche di migranti. Per fortuna del nostro personale, i banditi si sono limitati, armi in pugno, a farsi consegnare il gommone abbordato. E l’incidente si è chiuso lì. Cosa accadrebbe se, la prossima volta, piuttosto che accontentarsi di uno sgangherato natante, i banditi decidessero di sequestrare la motovedetta con il suo carico di marinai italiani? Sarebbe salutare se una forza navale presente nell’area potesse assicurare una reazione rapida nel caso di aggressione armata a una nostra unità. Non trova signor Renzi? O anche questa minima precauzione la spaventa? Va dato, da parte delle autorità italiane, quel segno di vitalità che finora è mancato. Ma non illudiamoci. L’Isis è una forza in espansione che aggrega masse di fanatici intorno a un preciso progetto politico. Nel mirino ci siamo noi e nulla potrà convincere il loro capo, il califfo Al-Baghdadi, a desistere dall’intento di attaccarci. Verrà, presto o tardi, il momento nel quale si porrà l’antico dilemma che ogni guerra, dalla notte dei tempi, porta in sé: o noi o loro.
C’è poco da fare. Contro chi vuole distruggerti, o lo distruggi a tua volta o ne viene annientato. Ha ragione il direttore Diaconale. Gli estremi per definirci Paese aggredito ci sono già. Ora, perché la Nato, che è stata creata per affrontare e risolvere questo genere di situazioni, tace? O meglio, come un disco rotto, parla soltanto di Russia e di Ucraina? Sarebbe assai doloroso scoprire che l’unica ragion d’essere di un altro carrozzone sovranazionale sia quella di servire gli interessi di uno solo. Di quello che sta dall’altra parte dell’oceano. Per anni abbiamo pagato e contribuito a tenere in piedi la baracca. E adesso che abbiamo bisogno di loro dove sono gli amici dell’Alleanza Atlantica? Se ci sei, caro Jens Stoltenberg, batti un colpo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:09